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Afterhours: manuel agnelli, storico “leader” del gruppo, su “rolling stone”, disintegra il “figh*ttume musicale” degli ultimi anni

Creato il 17 marzo 2016 da Musicstarsblog @MusicStarStaff

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Per chi fosse digiuno o quasi di musica “alternativa” di più di vent’anni fa, vale la pena ripercorrere almeno le tappe principali della carriera del noto gruppo “indie rock” degli Afterhours, costituitosi a Milano nella seconda metà degli anni ’80. Dapprima interpreti di brani in inglese, come “All the good children go to Hell”, in cui sono fin troppo percepibili gli influssi dei Velvet Underground, mentre si succedono esibizioni in contesti internazionali, come al “New Music Seminar” di New York e a Berlino, con l’album “Germi” (1993) si lasciano tentare da un cambio di rotta, optando per l’italiano, il suono comincia ad avere aperture melodiche, anche se ancora molto “punk”, con ispirazioni “noise”, psichedeliche e post-grunge, nei testi, elementi lirici, anarchici, sarcastici, beffardi e sensuali. Il capolavoro è del 1997 “Hai paura del buio?” una furia “hard rock” che non disdegna “pop” melodico e “space rock”, nel 1999, con “Non è per sempre”, si apriranno a sonorità meno ruvide e aggressive, con tanto di violini e violoncelli, “Quello che non c’è”, del 2002, segna il grande successo di pubblico, con scenari più intimisti dominati da senso di vuoto, rassegnazione e cupezza, dovuti alla perdita di valori e punti di riferimento, del 2014, invece è l’edizione speciale di “Hai paura del buio?”, che si avvale della collaborazione di artisti di spicco italiani e stranieri, oltre a proporre il complesso in una formazione arricchita di nuovi componenti a seguito di abbandoni di musicisti di lunga data.

Intervistato dalla rivista “Rolling Stone”, Manuel Agnelli (13/03/1966), “leader” del gruppo, demolisce in blocco la musica attuale, senza fare nessuna eccezione, anzi, probabilmente, l’espressione più indicata per questa operazione spregiatrice ce la suggerisce proprio il titolo di un suo provocatorio singolo del 1998 “Sui giovani d’oggi ci scatarro”, in altri termini ora, nel citato articolo, afferma “La nuova generazione di cantautori e musicisti è figlia di un’estetica che li ha condizionati troppo: sono carini, simpatici e pettinati meglio di noi, ma il messaggio che lanciano non ha la forza di quello della generazione degli anni ‘90 …. noi parlavamo con la pancia, con una sincerità non mediata” e sembra deluso dalla stessa Milano, sua città natale, determinante per la sua formazione artistica, un tempo, ritiene, ricca di stimoli, dotata di una marcia in più, oltre che all’avanguardia in molti campi, quasi una Woodstock italiana e ora alla mercé di quello che definisce “il figh*ttume” che l’ha spogliata di questo suo ruolo “Milano prima era una bomba rivoluzionaria, non solo nell’arte e poi è diventata sempre più attenta solo alla grafica, all’immagine e alla moda”, una visione senza spiragli, se corrispondesse pienamente al vero, ma non risente un po’ troppo dell’irriducibile antagonismo rivoluzionario di cui si è sempre ammantato il soggetto da cui proviene? Che i cantanti d’oggi non siano “brutti, sporchi e cattivi” e, ci piace aggiungere, in prevalenza non inclini al turpiloquio, non significa che non possano lanciare, anche attraverso brani apparentemente a tematica sentimentale (ma non sono gli unici), messaggi impegnati tutt’altro che insignificanti e anche il capoluogo meneghino, suvvia, non ha subito chissà che processo involutivo dal punto di vista della circolazione di idee anticonvenzionali e del radicarsi di tendenze progressiste, ma Agnelli perché si possa parlare di “impegno”, preferirebbe, forse, un ritorno agli anni della contestazione, del terrorismo politico, del “piombo”, o dell’esasperazione ideologica al servizio di fazioni in guerra fra loro?

Certo, l’articolo dissipa ogni dubbio sull’atteggiamento supponente del “frontman”, da cui si deduce che gli unici artisti “alternativi” e sperimentatori degni di questo titolo dell’ultimo ventennio sarebbero gli “Afterhours” anche se, bontà loro, seppure senza volerlo, il “Si stava meglio quando c’eravamo noi” suona comicamente e curiosamente come una vaga eco del sentitissimo “Quando c’era lui, caro lei” di Giorgio Bracardi negli irresistibili panni del federale Romolo Catenacci (ndr nella trasmissione “Alto Gradimento”)

Redazione: by Fede


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