Agatha & Willy

Creato il 30 maggio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

da Fralerighe Crime n. 5

Anche chi non ha grande dimestichezza con le statistiche a sfondo libresco saprà che Agatha Christie e William Shakespeare dominano incontrastati le classifiche degli autori più venduti e tradotti nella storia della letteratura mondiale. Il dato ha la sua importanza e meriterebbe una lunga riflessione; ciò che desideriamo approfondire in questa sede, tuttavia, è il legame che intercorre fra questi due autentici campioni della parola scritta. Un legame profondo che va ben al di là dei primati condivisi.

Apparentemente lontani – come può una scrittrice di romanzi polizieschi, per quanto talentuosa e insolitamente prolifica, eguagliare in popolarità e successi il figlio più illustre di Stratford-upon-Avon? – i due hanno una gran quantità di cose in comune.

Agatha Christie

Un primo punto di contatto è di ordine generale e attiene alla scelta delle tematiche narrative: William Shakespeare è stato un insuperabile autore noir, thriller e pulp – pulp, sì, avete capito bene: rileggetelo con attenzione e senza pregiudizi e vi sembrerà che Quentin Tarantino ci sia andato con la mano leggera! – , e chiunque voglia cimentarsi in questi generi letterari si trova, in un certo senso, a dover raccogliere un testimone.

Un testimone che scotta, sia ben chiaro: il drammaturgo inglese ha sondato ogni terreno e indagato ogni singola sfumatura dell’animo umano (tradimenti, incesti, giochi di potere, veleni misteriosi, vendette, duelli e loschi usurai… ammettiamolo, aveva pensato praticamente a tutto!), e lo ha fatto da par suo, coniugando profondità e bellezza in un linguaggio universale. In altri termini, e più concretamente, Shakespeare rappresenta in letteratura ciò che Stanley Kubrick è per il cinema: un riferimento imprescindibile, il genio allo stato puro in grado di mettere un punto a ogni percorso narrativo (difficile girare un film di fantascienza, dopo “2001 Odissea nello spazio”, e chi sceglie di farlo non potrà in alcun modo ignorare la lezione del Maestro).

Guardando più specificatamente ai contenuti, un’attenta analisi comparata finisce col rivelare che vi è molto Shakespeare, in Agatha Christie, così come vi è molta “crime fiction” ante litteram nell’opera del Bardo…

“Sad Cypress” (titolo originale de La parola alla difesa), ad esempio, rimanda a una canzone contenuta nella quarta scena del secondo atto de “La dodicesima notte”:

Come away, come away death,

And in sad cypress let me be laid.

Fie away, fie away breath,

I am slain by a fair cruel maid:

My shroud of white, stuck all with yew, O prepare it.

My part of death no one so true Did share it.

Analogamente, “Taken at the Flood” (Alla deriva) ci riporta al quarto atto del “Giulio Cesare”:

There is a tide in the affairs of men,
Which, taken at the flood, leads on to fortune;

Omitted, all the voyage of their life
Is bound in shallows and in miseries.
On such a full sea are we now afloat,
And we must take the current when it serves,

Or lose our ventures.

[Nelle umane vicende è una corrente che, seguita, conduce alla fortuna; abbandonata, il corso della vita alla deriva va, miseramente. Nel mare aperto tale legge dura: o tener la corrente e navigare, o perdere ventura.]

Negli Stati Uniti il romanzo è stato pubblicato con il titolo “There is a tide”, che come si vede riprende l’incipit del primo verso.

I versi immortali del Bardo di Stratford-upon-Avon corrono dunque sotto la pelle dell’opera agathiana. All’elenco dei titoli di matrice scespiriana si aggiungono Trappola per topi, la mitica commedia poliziesca rappresentata ininterrottamente dal 1952, che cita un verso dell’“Amleto”…

RE: Come si chiama il dramma?
AMLETO: La trappola per topi. E che tropo, per la Madonna! Il dramma riproduce un omicidio compiuto a Vienna – Gonzago è il nome del duca, sua moglie è Baptista – lo vedrete subito. E’ una gran canagliata ma che importa? Vostra Maestà e tutti noi che abbiamo la coscienza pulita, non ci tocca. Scalci la rozza piena di guidaleschi, il nostro garrese è intatto.

(“Amleto”: atto III, scena II)

… e Sento i pollici che prudono, titolo di un bel romanzo del 1968 con Tommy e Tuppence Beresford, che riprende l’esclamazione di una strega all’approssimarsi di Re Macbeth:

By the pricking of my thumbs, Something wicked this way comes, Open, locks, whoever knocks!

[Sento i pollici che prudono, certo arriva qualche infame, Apriti, catenaccio, a chiunque venga!]

(“Macbeth”: atto IV, scena I)

Anche nei romanzi che potremmo definire “bianchi” e perfino rosa (forse non tutti sanno che la Regina del Giallo ha pubblicato ben sei romanzi sentimentali utilizzando lo pseudonimo di Mary Westmacott), l’eco del Bardo non tarda a farsi sentire: “Absent in the Spring” (opera del 1944, edita in Italia con il titolo “Il deserto del cuore”) ci riporta infatti al bellissimo Sonetto 98:

From you have I been absent in the spring, / When proud pied April, dressed in all his trim, / Hath put a spirit of youth in every thing, / That heavy Saturn laughed and leapt with him.

Yet nor the lays of birds, nor the sweet smell / Of different flowers on odour and in hue, / Could make me any summer’s story tell, / Or from their proud lap pluck them where they grew:

Nor did I wonder at the lily’s white, / Nor praise the deep vermilion in the rose; / They were but sweet, but figures of delight, / Drawn after you, you pattern of all those.

Yet seemed it winter still, and you away, / As with your shadow I with these did play.

[T’ero lontano in primavera, quando il superbo Aprile altero, vestito a festa instillava la giovinezza in ogni cosa, e con lui Saturno, il greve, rideva e saltava. Ma non i canti d’uccelli, né il profumo dolce di fiori diversi in odore e colore, m’ispiravano racconti d’estate, o a raccoglierne i bocci dal loro grembo rigoglioso. Non mi fece meraviglia il bianco del giglio, né celebrai il vermiglio profondo nella rosa; erano solo dolcezze, figure di delizia, ritratte dopo di te, prendendoti a modello. Però sembrava ancora inverno, così lontani, e giocai con ombre che di te eran l’ombra.]

“Era il libro che avrei sempre voluto scrivere”, confesserà Dame Agatha nella sua autobiografia, “che mi sembrava di avere in mente da sempre. (…) per una volta, scrivere era stato facile (lo completò in tre giorni!, n.d.R.) e l’unico sforzo compiuto era stato solo di tipo fisico. Nell’insieme è stata un’esperienza gratificante. Intitolai il libro “Absent in the spring” dal sonetto di Shakespeare che comincia con questo verso From you have I been absent in the spring. Naturalmente non sapevo come fosse, magari era stupido, scritto male e pieno di altri difetti, ma era scritto con integrità, con sincerità come l’avevo voluto scrivere e questa è la gioia più grande che un autore possa provare”.

Il punto è che la Regina del Giallo amava Shakespeare, e non esitava a chiamarlo in causa: i titoli summenzionati rappresentano innanzitutto un attestato di stima nei confronti del grande drammaturgo.

Riguardo all’approccio con i classici della letteratura, del resto, Dame Agatha aveva le idee chiare: “Non c’è errore più grande che sentir parlare o vedere determinate cose nel momento sbagliato. Shakespeare, per esempio, è un capitolo chiuso per tutti quelli che sono stati obbligati a studiarlo a scuola; l’unico modo serio per accostarvisi, invece, è quello di vederlo rappresentato in palcoscenico, la sede naturale per cui Shakespeare ha scritto. E’ l’unico sistema, tra l’altro, per apprezzarlo anche da giovani, molto tempo prima di essere in grado di penetrare la bellezza delle parole e della poesia. Quando mio nipote Mathew aveva circa undici o dodici anni, lo portai a vedere “Macbeth” e “Le allegre comari di Windsor” a Stratford. Le apprezzò entrambe, ma un suo commento mi giunse inaspettato. Mentre uscivamo, mi si rivolse con aria intimidita, dicendomi: Sai, non avrei mai pensato che fosse Shakespeare se non l’avessi saputo prima. Voleva chiaramente essere una testimonianza di stima verso Shakespeare e come tale la presi.”

(Agatha Christie: “La mia vita”, Mondadori, 1978)

In determinati casi l’opera del Bardo finisce addirittura col diventare parte integrante dell’intreccio; si veda, ad esempio, Sipario – L’ultima avventura di Poirot: scritto durante la seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1975, il romanzo ruota intorno a una misteriosa serie di omicidi commessi “per interposta persona” da un novello Iago, e le vicende dell’“Otello” costituiscono un indizio fondamentale ai fini della risoluzione dell’enigma.

E’ “Macbeth”, tuttavia, la più sanguinaria e marcatamente noir fra le tragedie scespiriane, a fare la parte del leone: oltre alla citazione in “Sento i pollici che prudono”, di cui si è detto, la parabola degli usurpatori del trono di Scozia fa capolino in diversi romanzi agathiani: ne Il Natale di Poirot, la dolce Lydia Lee fa il verso a Lady Macbeth e diviene, per un istante, una immensa eroina tragica…

… chi lo avrebbe detto, che il vecchio avesse tanto sangue?

, si lascia infatti sfuggire contemplando il cadavere dell’odiato suocero.

Ellen Terry nella parte di Lady Macbeth. Ritratto di John Singer Sargent (1889)

Ancora: in Macabro quiz, una delle più brillanti studentesse del collegio femminile di Meadowbank tratteggia così le due figure più ambiziose e diaboliche del mondo letterario: “Macbeth … era attirato dall’idea del delitto, e ci aveva pensato parecchio, ma aveva bisogno di una spinta per agire. Lady Macbeth era avida e ambiziosa. A lei non interessava come ottenere quel che voleva, ma una volta arrivata al suo scopo si accorgeva che, in fin dei conti, non ne era valsa la pena”.

In Un cavallo per la strega, Mark Easterbrook e Hermia Radcliffe assistono a una rappresentazione del Macbeth all’Old Vic ed ecco il sagace commento della ragazza: “Nella scena col dottore, dopo quella di Lady Macbeth sonnambula, Non sai curare, tu, una mente inferma, (l’attore protagonista, n.d.R.) ha reso evidente ciò a cui non avevo mai pensato prima, e cioè che in realtà, con quelle parole, Macbeth ordinava al dottore di uccidergli la moglie. Eppure, lui l’amava. Non nascondeva mai la sua lotta fra la paura e l’amore. Quel più in là avresti dovuto morire è stata la battuta più impressionante che io abbia mai sentito”. Inoltre al Cavallo Pallido, l’antica locanda di Much Deeping, dimorano tre “streghe” appassionate di magia nera che avrebbero colmato d’inquietudine lo stesso tiranno di Scozia…

E se Poirot e la strage degli innocenti ci regala un insolito binomio criminale – Lady Macbeth e Narciso – , in Poirot e la salma l’alibi di uno dei personaggi comincia a scricchiolare pericolosamente allorché si profila all’orizzonte la sagoma di Yggdrasil, l’albero della vita nella mitologia scandinava (le streghe del Macbeth rappresentano le Norne, ovvero le Sorelle Fatali che tessono le trame del mondo alle radici dell’albero cosmico).

Viene da domandarsi se un legame così profondo possa varcare, in qualche modo, i confini della letteratura. Ebbene: un altro albero della vita fornisce una risposta davvero interessante…

Family Tree

Simona Tassara

[articolo originariamente postato sul blog di Uno Studio In Giallo]



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