Per questo c'è la sfilata di banchieri che chiedono udienza ai vertici di società come la francese Orange, Deutsche Telekom, l'inglese Vodafone presentando progetti ambiziosi di crescita. E l'insistenza è diventata maggiore nelle ultime settimane, dopo che un paio di acquisizioni hanno dato il via alle grandi manovre. Entrambe sono state annunciate nel Regno Unito che, ancora una volta, fa da battistrada.
L'iniziativa più clamorosa è della cinese Hutchison Whampoa, che ha offerto 15 miliardi di dollari per l'acquisto di O2, il secondo operatore di telefonia mobile britannico, controllato dalla spagnola Telefonica. Il gruppo di Hong Kong, che fa capo al magnate Li Ka Shing, è l'azionista di riferimento in Italia di H3. La seconda, importante operazione, annunciata pochi giorni dopo, all'inizio di febbraio, ha come protagonista British Telecom, che ha rilevato da Deutsche Telekom e da Orange il controllo di Everything Everywhere (Ee), leader nella telefonia mobile inglese. Il tutto per la cifra record di circa 19 miliardi di dollari. La certezza degli osservatori è che quanto sta accadendo nel Regno Unito, come spesso accade, farà scuola perchè il mercato europeo è frammentato e la strada per recuperare competitività rispetto ai colossi americani e cinesi passa da concentrazioni importanti. «Siamo soltanto all'inizio», commenta uno dei banchieri protagonisti in Europa, «e l'Italia non farà eccezione».
Anzi, il mercato italiano è uno dei più affollati con ben cinque protagonisti di primo piano: Telecom Italia, Vodafone, Wind, H3G e Fastweb. Gli scenari, a livello europeo, vedono tre filoni possibili: concentrazioni oppure alleanze tra gruppi leader nei diversi Paesi (da Orange a Deutsche Telekom, da Telecom Italia a Telefonica), una campagna acquisti importante di Vodafone (che ha molta liquidità da spendere), un salto di qualità nella convergenza tra aziende di telecomunicazioni e media (che si è già delineata, a partire dalla strategia dell'attenzione verso il mondo delle tlc di Sky e Mediaset).
Difficile, però, fare previsioni su chi partirà per primo anche se, come spiega uno dei consulenti di strategie industriali più conosciuti, «il destino è segnato» e «la mappa delle principali aziende è destinata a cambiare, a cambiare molto.» Il tutto con le authority dei regolatori nazionali che giocheranno un ruolo, peraltro da verificare, soprattutto nei rapporti tra le aziende di tlc e i social network, a partire da Google e Facebook, la cui forza d'urto rischia di risultare incontenibile.
L'osservata speciale è Vodafone perchè ha liquidità in abbondanza dopo il disimpegno dal mercato americano e nonostante la distribuzione agli azionisti di super dividendi. Finora ha scelto operazioni mirate in Germania e Spagna ma l'amministratore delegato del gruppo, Vittorio Colao, è pronto a crescere ancora. In questo scenario Telecom deve fare i conti con l'handicap di un azionariato tutto da definire. Telco, la finanziaria di controllo, si è sciolta. I tre azionisti italiani (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo) non perdono occasione per confermare di essere venditori delle loro quote.
L'azionista privato di maggior peso, Marco Fossati, ha appena annunciato di avere ridotto la partecipazione. Telefonica è uscita di scena passando il testimone alla francese Vivendi, guidata dal presidente Vincent Bollorè. Che cosa c'è dietro l'angolo è tutt'altro che chiaro. Giovedì prossimo il management presenterà al consiglio di amministrazione della società il piano industriale, ma il futuro è tutto da costruire e si presenta ricco d'incognite. La certezza è che Telecom Italia, una delle poche grandi aziende rimaste sotto controllo di capitale italiano, rischia di cambiare casacca, mentre tutti gli altri Paesi europei mantengono una società di tlc nazionale, dalla Francia alla Germania, passando per la Spagna. E si guardano bene, loro, di rinunciarvi.