Elem Klimov racconta questa storia terribilmente romanzesca sospesa tra vita e morte, proprio come un'agonia, influenzato sicuramente nella stesura della sceneggiatura e nella direzione degli attori dal teatro dell'assurdo, non a caso alcuni isterismi e manierismi mi hanno ricordato il miglior Zulawski. L'uso di una fotografia tenebrosa e asciutta rende le atmosfere avvolgenti e inquietanti come l'impatto visivo delle tele di Bosch e Goya. E' evidente la grande dedizione che Klimov riversa per la composizione dei suoi fotogrammi, l'opera sembra proprio una tempesta di luci soffocate da ombre, di volti languidi di purezza e assetati di potere che invadono le inquadrature con morbosità (a questo proposito ho trovato di particolare impatto la sequenza in cui Rasputin viene incastrato dai monaci ortodossi), frequenti sono i primi piani diretti all'obbiettivo che è una caratteristica che nel cinema di Klimov ritornerà nei suoi successivi film, e sottolineo, anche con maggiore consapevolezza. Quello che per l'appunto si ha la sensazione che manchi in questo film è proprio un'impronta introspettiva e un'indagine quindi più realistica che permetta a chi guarda di motivare il parossismo delle immagini. Il risultato quindi è audiovisivamente potente ma troppo caricaturale e distante a una partecipazione emotiva completa. Tuttavia il finale grottesco dell'assassino e l'interpretazione di Aleksei Petrenko che anche per la sua fisicità somiglia in modo impressionante a Rasputin, penso valgano da sole la visione dell'opera cha ha in sè una suggestione tutta singolare.
Elem Klimov racconta questa storia terribilmente romanzesca sospesa tra vita e morte, proprio come un'agonia, influenzato sicuramente nella stesura della sceneggiatura e nella direzione degli attori dal teatro dell'assurdo, non a caso alcuni isterismi e manierismi mi hanno ricordato il miglior Zulawski. L'uso di una fotografia tenebrosa e asciutta rende le atmosfere avvolgenti e inquietanti come l'impatto visivo delle tele di Bosch e Goya. E' evidente la grande dedizione che Klimov riversa per la composizione dei suoi fotogrammi, l'opera sembra proprio una tempesta di luci soffocate da ombre, di volti languidi di purezza e assetati di potere che invadono le inquadrature con morbosità (a questo proposito ho trovato di particolare impatto la sequenza in cui Rasputin viene incastrato dai monaci ortodossi), frequenti sono i primi piani diretti all'obbiettivo che è una caratteristica che nel cinema di Klimov ritornerà nei suoi successivi film, e sottolineo, anche con maggiore consapevolezza. Quello che per l'appunto si ha la sensazione che manchi in questo film è proprio un'impronta introspettiva e un'indagine quindi più realistica che permetta a chi guarda di motivare il parossismo delle immagini. Il risultato quindi è audiovisivamente potente ma troppo caricaturale e distante a una partecipazione emotiva completa. Tuttavia il finale grottesco dell'assassino e l'interpretazione di Aleksei Petrenko che anche per la sua fisicità somiglia in modo impressionante a Rasputin, penso valgano da sole la visione dell'opera cha ha in sè una suggestione tutta singolare.
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