11 marzo 2012 Lascia un commento
Una folla multicolore, incessante, entrava lentamente nello stabilimento, con borse, palloni di gomma e altri oggetti inerenti al bagno. Si sarebbero detti i fedeli d’una misteriosa deità, che entravano nel tempio. I bagnini scalzi correvano ad aprir le cabine e a spinger nell’acqua le barche e i «mosconi» presi in affitto.
Presso l’entrata, un pescatore sbatacchiava sul parapetto di pietra, con straordinaria violenza, un polpo testé pescato e ancora vivo. Si sa che con questo sistema vengono uccisi i polpi.
«Che barbara usanza!», esclamò Suares, che, con i compagni, entrava in quel momento.
«Le parrebbe anche più barbara», disse un assiduo dello stabilimento, «se sapesse che quel polpo è sempre lo stesso, che viene ogni giorno pescato vivo e sbatacchiato per un certo tempo sotto gli occhi dei villeggianti».
«Come sarebbe a dire?», chiese il nostro amico.
«Ella sa», spiegò l’altro, «che nessuno si fida di mangiare il pesce in uno stabilimento dove non si veda almeno un polpo ucciso sotto gli occhi dei clienti. Qui, poiché non si può ogni giorno pescare un polpo diverso, la direzione ha pensato di usar sempre lo stesso polpo, che dopo essere stato sbatacchiato per un certo tempo e prima che esali l’ultimo respiro, viene di nuovo gettato nel mare, in un recinto chiuso, dove è facile pescarlo a ogni occorrenza».
Era vero. Il povero animale, come se non bastassero gli sbatacchiamenti quotidiani della mattina, doveva spesso sottoporsi a penosi extra nel corso della giornata. Appena si presentava qualcuno e chiedeva di mangiare pesce fresco, pescato sotto i suoi occhi, il polpo veniva tratto fuori e tosto sbatacchiato per alcuni minuti sul muricciuolo. Poi, dopo essere stato sostituito con polpi venuti da Milano, era di nuovo gettato in acqua per servire in altra occasione.
Ormai, il poverino sentiva dalle voci quando era giunto il momento d’esser tirato fuori e sbatacchiato. I primi tempi, appena udiva gridare: «Ehi, c’è da mangiare pesce fresco?», mormorava: «Ci siamo!». E si faceva piccino piccino, rimpiattandosi sui bassifondi.
Ma tutto era vano. Ben presto veniva scovato, tratto alla luce e violentemente sbatacchiato sul muricciuolo, con soddisfazione della clientela. Poi, l’infelice mollusco, per abbreviare quei momenti terribili, appena sentiva chiedere pesce fresco veniva a galla spontaneamente e si metteva vicino al parapetto, con maravigliosa abnegazione. Ormai il disgraziato animale era diventato durissimo e non desiderava che di farla finita con la sua misera esistenza. Vero è che non gli mancava nulla. Anzi, per conservarlo in vita, la direzione non gli lesinava i buoni bocconi e le comodità d’ogni sorta. Ma quella storia d’essere sbatacchiato in così barbaro modo faceva passar tutto il resto in seconda linea. Ogni mattina egli diceva: «Speriamo che sia per oggi». Ma quando, dopo essere stato duramente provato, si sentiva gettar di nuovo in mare, invece che in padella, rabbrividiva pensando: «Ancora domani saremo daccapo».
Qualche volta, dopo essere stato sbatacchiato, faceva il distratto e s’avviava zitto zitto verso la cucina. Ma il pescatore l’afferrava in tempo per restituirlo agli abissi marini.
«Il signor Antonio Villa?», chiese Gedeone a un giovinotto, che, in mutandine, stava steso bocconi sul parapetto.
«Che so io di Villa!», disse questi. «Io mi debbo abbronzare e non ho tempo di pensare a Villa!».
«Scusi tanto», mormorò Gedeone.
«Anzi», proseguì l’altro senza muoversi, «giacché è lì mi dica, per favore, se l’omero sinistro è abbastanza nero».
Gedeone osservò la parte indicata.
«Un po’"meno del destro», rispose.
«Maledizione!», fece il giovinotto. «Non riuscirò, dunque, a ottenere una tinta unita?».
Si girò appena, in modo da esporre meglio la parte che l’interessava ai dardi cocenti.
E, poiché accanto al muricciolo s’ergeva l’alta, signorile figura di Whititterly, gridò: «Si tolga di là, ché mi copre il sole».
Quell’uomo dagli occhietti furbi s’affrettò a scostarsi, mentre Gedeone chiedeva al pescatore notizie di Villa.
«Il palombaro?», chiese il pescatore, con soddisfazione del polpo, che guadagnava alcuni minuti di riposo.
«Proprio lui».
«Viene sempre verso le undici», proseguì il pescatore. E, indicando la rotonda, aggiunse: «Va a sedersi lì, dove racconta le sue gesta subacquee».
«Grazie, buon uomo», esclamò Lanzillo.
Per compensarlo in qualche modo, voleva comperare il polpo. Ma il pescatore non volle cederlo a nessun costo.
«con me da tanti anni», disse, «e ormai mi ci sono affezionato».
«Ecco una cosa simpatica», esclamò il buon Suares, con le lagrime agli occhi, «questa solidarietà fra pescatori e pescati mi commuove mio malgrado».