Sarà che in casa mia è il settimanale che si compra da sempre, me la ricordo addirittura dall’età prescolare perché riempivo tutte le caselle dei cruciverba scrivendo le poche lettere dell’alfabeto che conoscevo e poi facevo vedere lo schema completato a mio nonno che faceva finta di stupirsi del fatto che a cinque anni fossi già in grado di risolvere un cruciverba. O forse non faceva finta, ma dubito fortemente.
Sarà perché mi dà l’idea di un modello di nozionismo d’altri tempi, grazie al quale ci si ricordava delle capitali di stati mai sentiti, si era costretti a sfogliare enciclopedie e dizionari per reperire l’informazione corrispondente alla definizione arcana che mancava a completare il gioco.
Sarà perché ancora adesso i miei genitori, ormai anziani, tengono allenata la memoria così, sulle pagine della Settimana Enigmistica, il cui primato è stato scalfito solo di recente da un prodotto che, a mio giudizio, non ne regge assolutamente il paragone, e mi riferisco al sudoku, ma solo perché preferendo le parole ai numeri per forma mentis la mia scelta è scontata, e non azzardatevi a giudicarmi solo come un bacchettone tradizionalista.
E sarà perché è un tipo di passatempo che vanta innumerevoli tentativi di imitazione ma che a me risulta comunque ostico, per non dire difficile da sostenere, un po’ perché sono impreparato e ignorante, un po’ perché non mi interessa. Sta di fatto che ne ho sempre ammirato alcuni aspetti, e ora che li sto per elencare mi sembrano tutti prettamente estetici: la scelta del bianco e nero più il colore della copertina, rigorosamente blu, verde o rosso. Il formato e l’impaginazione, alcuni disegni entrati nella storia come Il quesito con la Susi, Il tenero Giacomo e il corvo. Tanto che cerco sempre qua e là di fare proposte di adv che richiamino in qualche modo quello stile, ma chissà perché (domanda retorica) me le bocciano sempre e poi, quando invece le vedo associate ad altre campagne pubblicitarie, penso tra me beati loro, i creativi di quell’agenzia lì, che hanno avuto l’ok dal loro cliente per un’idea che richiama la Settimana Enigmistica.
Per non parlare delle rubriche ricche di pillole di sapere come “Strano ma vero” e “Forse tutti non sanno che”, le prime che andavo a curiosare, contando quante di quelle notizie erano corredate da una illustrazione e quante invece da una foto. E a proposito di foto, il fatto che non riuscissi mai a riconoscere il personaggio della copertina se non leggendo la didascalia sottostante, che è un mio problema, chiaro, sono un pessimo fisionomista, è particolare. Ma il vedere il primo piano di una celebrità lì, inquadrato tra le caselle delle parole crociate, a un lettore vittima di una società costretta a vedere i vip stampati a colori e, soprattutto, in movimento sullo schermo, sembrava una sorta di giustizia sociale, il riportare le persone famose alla sobria naturalezza e all’immobilità austera della fototessera, tanto da chiedermi se fossero scatti realizzati appositamente. E mi chiedevo anche se era la star di turno a essere pagata dalla rivista o, al contrario, fosse la Settimana Enigmistica a percepire un compenso per far arrivare capillarmente nelle famiglie come la mia le facce di chi voleva farsi pubblicità. Questo sì che è un dilemma, altro che i rebus.