Cari amici, se leggo le vostre parole inscritte nei fumetti delle chat vi immagino come goccioline di vapore acqueo che non state in nessun posto, in ognuna c’è un po’ del riflesso di come vi ricordo e chissà come siete adesso. Rovinati come me dall’età e dalle voci nella testa che prolificano come roditori e in quanto roditori è bene star loro alla larga che non si sa mai, sapete le malattie. Amici che non ci vediamo più da lustri e decenni, che ci rivolgiamo domande come se fosse naturale che ci interessano ancora le stesse cose di allora e invece già il fatto di doverci mettere comodi per cercare di mettersi a fuoco dovrebbe essere un mutuo segnale che non è così. Amici mi spiace di essere uno di quelli ai margini che c’era sempre qualcosa prima di più urgente, di più remunerativo, di più strumentale e più distante, per allontanarmi. Ancora adesso ho difficoltà a stare fermo, sarei un pessimo adepto per le scuole di yoga, dopo un po’ devo cambiare la gamba d’appoggio e riconfigurare l’equilibrio. Così è stato anche nella vita, almeno fino a un certo punto e poi non so come è andata. So solo che mi ci sono visto riflesso e facevo una splendida figura, almeno lì. Amici miei cari, se non torno è perché sono a disagio, dovremmo ammettere che abbiamo perso, che sarebbe stato più facile da ricordare se fossimo stati più lucidi allora mentre cercavamo di esserlo il meno possibile. Il repertorio, poi, sarebbe lo stesso, per tornare intimi almeno per qualche ora ma non so se ci piacerebbe. Parlare di ora, di quanto ci siamo sconosciuti, ne resteremmo delusi e desiderosi di tornare al presente. Amici miei, ecco: restiamo dove siamo, con reciproci auguri a vedersi per caso e, in quel caso, a portare qualcosa che riassuma tutto il periodo in cui siamo stati dispersi per poi trovarci così, con il nostro vigore stemperato nei social network, nelle foto che è tutto un tirare un sospiro di sollievo che in fondo va bene così, va bene che non ci siamo più incontrati.
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