Aiutatemi a capire le femministe contemporanee

Creato il 20 ottobre 2015 da Annagiulia @annagiuliabi

Ci ho provato in passato e ancora ci provo, a sviluppare empatia con il movimento femminista contemporaneo. Giurin giurello che l’ho fatto. Manco a dirlo, non ha funzionato e ancora non funziona. Tutta colpa di una certa teoria del cinema.

Il mio problema col femminismo è iniziato quando mi sono trovata a dover studiare la Feminist Film Theory, e ad oggi non se n’è mai andato.

E sì che prima di incontrare gli scritti di Laura Mulvey avevo simpatia per le militanti sessantottine che bruciarono i reggiseni in piazza, anche se molte di loro hanno poi fatto del femminismo una spilla da portare sul risvolto delle giacche di sartoria.

Quanto sto per scrivere non mi fa onore, ma fin dall’inizio, l’incontro con gli scritti della Mulvey è stato condito con una buona dose di scetticismo: mi pareva che ragionando per compartimenti stagni e categorizzando ogni film come fosse un insieme di elementi perfettamente catalogabili, si perdessero la fluidità e la componente artistica del prodotto cinematografico.

Ad oggi, rimango dell’idea che le teorie cinematografiche di stampo femminista siano utili da studiare in relazione alla storia del cinema, e da lasciare fuori dagli esercizi di analisi e critica soprattutto quando ci si occupa del cinema degli ultimi vent’anni.

Ho provato a rileggere Piacere Visivo e Cinema Narrativo per inserire qualche spezzone in questo post e proprio non ce l’ho fatta: forse è un problema mio, forse tra di voi c’è qualcuno che può aiutarmi ad apprezzare le teorie della Mulvey, in tal caso fatevi avanti e salvatemi dall’ignoranza.

Ancora oggi, quando mi sembra che i problemi – reali, per carità, ma forse un po’ meno pressanti rispetto a quelli che so, della comunità LGBT o dei migranti, perlomeno nell’Occidente del benessere – per i quali le femministe si scontrano anche tra di loro siano per la maggior parte di ordine semantico e teorico: poco fa leggevo un articolo su un blog prettamente femminista e tra i commenti, quelli che hanno scatenato il dibattito più acceso sono quelli relativi all’utilizzo di determinate parole, da alcune definite “neutre”, da altre indicate come “offensive”, da altre ancora come “controverse”.

La noia, la scarsa utilità, il distacco dalla realtà, la noia.

Ho rivisto in quei commenti i tentativi di catalogare che avevo trovato nella Feminist Film Theory, e ho ritrovato quell’alone mortifero, da animali impagliati nei musei, che forse è ciò che rende così ostico anche il femminismo 2.0.

Forse questo non dovrei scriverlo, ma sospetto che i miei problemi con le femministe siano nati quando lessi che disprezzavano Piccole Donne in quanto espressione e giustificazione della società di stampo patriarcale: a questo proposito, vi rimando al bellissimo articolo che Valeria ha scritto in merito al capolavoro di Louisa May Alcott.