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Vi avevamo preannunciato questa nostra chiacchierata con Massimo Stronati del The Doping Club di Milano. Bene, manteniamo la promessa e vi offriamo un’intervista senza fronzoli, senza troppi giri di parole, schietta come la persona che abbiamo incontrato.
Buona scelta
IBD
ilbicchierediverso@gmail.com
Come nasce la tua passione per il bar prima e poi per la mixology?
La mia passione per il bar nasce in famiglia, mio padre ne ha avuti 3 di proprietà oltre ad aver lavorato per altre persone. Il mio primo maestro è stato lui, quello che mi ha spiegato le cose basilari soprattutto l’ospitalità, il focus sul cliente, l’educazione e il modo appropriato con cui relazionarsi con coloro che sono il nostro “tesoro”.
Mio papà non è stato un barista famoso, ma era famoso per i suoi clienti che attraversavano la città per andare da lui anche solo per un caffè…io personalmente ho sempre bazzicato il bar, credo di aver fatto il primo caffè ai tempi delle elementari.
Ho studiato, ma diversamente da quel percorso che si potrebbe ipotizzare: non ho scelto l’alberghiero, ma ho frequentato l’istituto tecnico aeronautico vista la mia passione per gli aeroplani.Durante la scuola ho sempre aiutato in famiglia e crescendo ho iniziato a lavorare in giro facendo qualche lavoretto qua e là, fino a capire che fare il barista era la mia strada e adesso sono più di vent’anni che sto dietro il bancone.
La mia passione per la mixology è cresciuta col tempo e credo che sia un one way ticket…qualcosa che non mi mollerà mai…ho iniziato a lavorare e crescere, ho conosciuto stili e tecniche diverse, fino ad arrivare al punto che ne volevo sapere di più e così ho iniziato a studiare oltre che concentrarmi solo sulla parte pratica. Ho lanciato bottiglie da ragazzo e adesso mi sono concentrato di più sulla miscelazione classica che mi permette di realizzare i miei signature drink in modo sensato ed efficace…il percorso di studi che ho scelto legato al bartending è stato particolare: i primi anni li ho spesi solo a lavorare e a cercare di “rubare il mestiere” alle persone con cui dividevo il bancone
Da ragazzo mi iscrissi anche ad un corso Aibes…ma all’epoca era troppo formale per me così dopo poco abbandonai, successivamente ho frequentato corsi di American bartending, corsi di Flair, ho partecipato a Masterclass con rinomati campioni internazionali e chiaramente, ho lavorato in bar dove si lavorava “di massa”, ma l’attenzione era sempre incentrata sul cliente. Successivamente ho partecipato a seminari e masterclass e corsi di alta miscelazione, di home made preparations, corsi di cultura Tiki e da ultimo a un seminario con David Wondrich probabilmente il più influente storico vivente in ambito mixology.
Credo comunque che la parte consistente della mia formazione e preparazione sia da autodidatta, visto i più di 150 volumi legati al mio mondo, storia della miscelazione, tecnica, ricette e quant’altro.
Cos’è per te il barista?
Quando penso alla figura del barista penso ad una persona che mi deve far star bene, regalarmi un momento “mio”, di spensieratezza, magari dopo una giornata pesante…un professionista completo, non solo uno che sia in grado di preparare ottimi drinks ma anche una persona capace di ascoltare, relazionarsi e sopratutto in grado di stare al suo posto. Anche perché non tutti e non sempre, vogliono essere accolti o intrattenuti con milioni di parole.
Scienza o alchimia… cos’è la mixology per te?
La miscelazione per me è un viaggio affascinante che parte dai secoli passati e arriva ai giorni nostri; è la via attraverso cui, con coscienza e cognizione, ogni sera va in scena uno spettacolo diverso nel teatro del bar, dove ogni volta ci sono attori diversi ma dove al centro resto io a far da bere.
L’alchimia la vedo più legata alle relazioni personali che nascono tra le persone, però mi ripeto, lo studio, la ricerca e la passione sono una premessa per far bene una parte fondamentale dello show:il drink.
Che esperienze hai fatto all’estero e quali differenze hai trovato con l’Italia?
Le mie esperienze all’estero…da ragazzo ho spillato birre e fatto il cameriere a Londra, niente di straordinario se non per il fatto che più di vent’anni fa c’erano più inglesi che stranieri, quindi imparare la lingua è stato più complicato ma mi è servito sopratutto a mettermi in gioco con i clienti…per quanto riguarda la mia ultima esperienza fuori dallo stivale l’estate scorsa sono stato a Parigi per l’apertura di un nuovo cocktail bar Il Gocce, un vero bar, senza uno stile definito, senza fronzoli ma con tanta concretezza e da quell’esperienza ho imparato molto, non solo in termini legati alla miscelazione, ma anche al servizio, alla cultura dell’ospitalità parigina: molto distante dalla nostra, visto che le persone là sembrano aver più voglia di star fuori, di stare insieme è forse per quello che nella città della torre Eiffel -da metà degli anni duemila- i cocktail bars, quelli giusti dove si beve bene, dove si trovano prodotti d’eccellenza si sono moltiplicati, a differenza che da noi dove, superata Roma, si fa un po’ fatica… anche se mi sembra doveroso ricordare che in tutta Italia ci sono grandi professionisti e noi italiani abbiamo un qualcosa in più; ecco perché in molti grandi bar del mondo, Londra in primis, si vedono molti italiani dietro al bancone.
I tuoi punti di riferimento storici?
Dal professore Jerry Thomas attraverso Harry Johnson, Harry Craddock….fino al Maestro Salvatore Calabrese, direi tutti…però qui vorrei menzionare alcune persone che per motivi diversi hanno fatto crescere in me la passione e hanno fatto si che io sia ancora così innamorato del mestiere…Stanislav Vadrna che considero il mio mentore, Oscar Quagliarini un barista geniale che mi ha spinto ad approfondire e a stare sul pezzo; i ragazzi del Jerry Thomas Speakeasy di Roma che – oltre che rilanciato la miscelazione in Italia -con il loro bar continuano ad organizzare formazione d’eccellenza e Daniele DallaPola esperto della cultura Tiki e tropicale (uno di quei baristi che vorresti sempre trovare dietro al bancone del bar) e tanti altri che, anche se non menzionati singolarmente sanno di esserci.
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Contest. Cosa significano per te?
I contest per me sono l’occasione di fare sharing, di stare con i colleghi ormai quasi tutti amici…infatti la parte della competizione fine a se stessa ha perso peso per me nell’ultimo periodo. La competizione per eccellenza resta World Class dove ho avuto la fortuna di partecipare quest’anno: per me una giornata unica, fatta di incontri, risate e molti drink che ricorderò a lungo, con un finale stupendo visto che ha vinto uno dei miei più grandi amici tra i bartenders italiani, Claudio Peri per cui tiferò alla finale mondiale. L’ultima fatta è la finale italiana Gin Mare -svoltasi a Barcellona- in distilleria è stata quasi come una gita al liceo tra amici, ho visto anche li grandi drinks e ho imparato qualcosa.
Chi è il cliente e come ti relazioni con lui? Cosa cerchi nei suoi occhi?
Il cliente, l’ho detto, è “il nostro tesoro”, è la parte su cui dobbiamo concentrarci maggiormente al fine di rendere il suo passaggio nel nostro bar un’esperienza, qualcosa di unico e non solo o necessariamente un buon drink.Chiaramente ci sono clienti e clienti e la professionalità serve anche a capire questo e far sì di essere appropriati nei modi, nello stile nel servizio…come già detto i clienti son tutti diversi…io personalmente cerco la sorpresa la voglia di interagire con me, la scelta del drink, il racconto, la voglia di lasciarsi andare, insomma di dare anima al bar e se magari scatta la scintilla berci su insieme.
Gli occhi delle persone non mentono quindi sono un segnale in più per capire se ho fatto bene il mio lavoro.
Il tuo drink preferito?
Il mio drink preferito da bere sicuramente è un Manhattan magari preparato con un eccellente vermouth italiano in combo con un whisky giapponese, angostura, bitters e una ciliegia non al maraschino ma al Manhattan…da preparare tutti i drinks sono i miei preferiti, anche se quel che amo fare ultimamente è proporre qualcosa di unico, di taglio sartoriale fatto apposta per l’ospite e che poi, forse, mai riproporrò..
Avere davanti Massimo Stronati significa…
Significa avere qualcuno che ama così tanto il mestiere da non riuscire più a scinderlo dal resto…avere qualcuno che, consapevole dei suoi limiti, cercherà di regalarti un ottimo drinketto e se ne hai voglia, due chiacchiere sincere come se ci conoscessimo da sempre…salute!