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Al Bano spopola in tv con lo show sulle famiglie: «Quante ne vedo di storie laceranti» (Il Tempo)

Creato il 06 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano
Al Bano spopola in tv con lo show sulle famiglie: «Quante ne vedo di storie laceranti» (Il Tempo)Lo vedi in tv che abbraccia genitori e figli che si erano persi, fratelli che non si rivedevano da decenni, famiglie frammentate che hanno avuto bisogno di una trasmissione per ricomporsi. Al Bano Carrisi, quando non è sul palco, lo vediamo sul piccolo schermo. Il programma di Raiuno condotto con Cristina Parodi, "Così lontani così vicini", veleggia attorno ai 4 milioni e mezzo di spettatori. Carrambate in esterna, rivedute e corrette, che funzionano alla grande.
Può essere perfino terapeutico, fare l’inviato speciale per risolvere casi familiari.«Dalla famiglia nasce tutto, ricorda Papa Francesco. E quante ne vedo, di storie laceranti. Tutte vere, peraltro. Parenti che si cercano per una vita, senza trovarsi. Magari non sanno di vivere a cinque chilometri di distanza. Poi grazie alla nostra produzione accade il miracolo».
Uno si chiede: com’è possibile che la tv risolva subito e il diretto interessato non ci riesca mai?«Me lo sono chiesto anch’io. Ma la burocrazia può essere assassina, le scartoffie si perdono, vai negli uffici a chiedere e forse non si interessano. Io poi, lo confesso, non sapevo che le adozioni prevedessero il silenzio sulle tue radici. A meno che i nuovi genitori, a tempo debito, non ti illuminino sulle tue radici. Sono vicende toccanti, ma che raccontiamo evitando il sensazionalismo. Mi emoziono man mano che ci entro dentro».
Che fine ha fatto l’idea del programma tv con Tozzi e Cutugno?«Umberto non aveva capito bene di cosa si trattasse, e il produttore si era stancato di aspettare. Vedremo. Però il mio sogno è uno show televisivo Al Bano-Morandi-Ranieri. Siamo figli della stessa epoca, quella delle battaglie di Canzonissima. Siamo prodotti dal grande proletariato del nord e del sud, con la testa ben piantata sulle spalle. Abbiamo resistito a ogni cambiamento».
Altri tempi.«Il mio apprendistato lo feci nel clan di Celentano, dove Adriano aveva la massima libertà artistica e decisionale. Io ero un po’ testa calda, e quando passai alle multinazionali pagai le conseguenze, a caro prezzo, della mia voglia di indipendenza. Ma quando mi si chiudeva il mercato italiano, per magia se ne aprivano altri in tutto il mondo. Ero e sono un privilegiato».
Un ragazzino pugliese che andò a Milano senza una lira per fare mille mestieri.«Il manovale, il barista, il pizzaiolo, il metalmeccanico, il cameriere. A Milano fui il primo abusivo d’Italia. Vicino al Giambellino occupai una stanzetta di una casa che poi comprò Ricky Gianco. Dovevo dipingere le pareti. Misi la carta di cemento alle finestre, comprai una branda. E quando finivo di lavorare, a tarda sera, imbracciavo la chitarra e componevo le mie prime canzoni. "Il mondo dei poveri", "Io di notte", "Nel sole", nacquero lì».
Sua madre non voleva che lasciasse la Puglia.«Ma mi lasciò fare, come io lascio fare ai miei figli. La vita appartiene a loro».
Due figlie le ha portate in Giordania, nel contestatissimo reality sui profughi.«Ho voluto venissero perché loro non hanno mai conosciuto la povertà, come era accaduto a me alla loro età. E sono rimaste così colpite che ora Cristel ha deciso di fare volontariato in quelle zone. Non mi opporrò, anche se la cosa è pericolosa».
Come ha vissuto le polemiche attorno a quel programma?«Sono andato in quei campi del dolore da contadino, non da vip. Lì non mi conosce nessuno. Ho dialogato a gesti, e non mi hanno tirato pietre, come accaduto ad altre troupe. Ho vissuto un’esperienza sconvolgente. In Occidente non arriva quasi nulla della sofferenza dei siriani in fuga. Vedi nelle loro facce la dignità, la sopportazione, la tristezza quotidiana. E ti chiedi perché la lobby delle armi ingrassi sulla pelle di questa povera gente indifesa. Insisto: in ogni Paese del mondo andrebbe istituito un Ministero della Pace. Utopia?».
È stato molto in tv, in questi mesi.«Mi dicono che sono sovraesposto, e di certo non andrò a Sanremo neppure come ospite. Volevo andarci l’anno scorso da concorrente, Fazio invece mi offrì una sorta di onorificenza».
La tv compie sessant’anni.«E io ne ho vissuta un bel pezzo. Mi chiamavano a Canzonissima, al Disco per l’Estate: il pubblico era chiamato a comprare cartoline e lo Stato ci guadagnava. A Studio Uno invece niente».
La sfruttavano.«No, forse mi mancavano gli elementi giusti. Però ho avuto le mie soddisfazioni in altro modo. Come quando mio figlio Yari mi disse: "Papà, ma tu hai venduto per caso una canzone a Michael Jackson?"».
Vi incontraste mai, nel periodo del contenzioso legale?«Michael mise per iscritto che a Roma avrebbe avuto rapporti solo con gli avvocati. Strinsi la mano a loro. Lui si difese dall’accusa di plagio dicendo che quella musica girava nell’aria. Chissà se avrebbe detto lo stesso se io avessi copiato "Thriller"».
Ma nell’accordo finale si parlava di un concerto con voi due insieme.«Nero su bianco. Al Bano e Michael Jackson all’Arena di Verona in un concerto di beneficenza per i bambini maltrattati. Ma la sorte ci mise lo zampino. Lui fu accusato di pedofilia».

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