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Al Cinema (8): recensione "Il Bambino che scoprì il Mondo"

Creato il 21 febbraio 2016 da Giuseppe Armellini
Cinema (8): recensione Bambino scoprì Mondo
Grazie cinema.
Bianco.
Un bambino si avvicina.
C'è qualcosa in terra, pare un sasso multicolore.
Il bambino lo alza.
Ci sono nuvole in cui saltellare come pozzanghere.
C'è la giungla colorata e viva.
Ci sono animali e alberi.
Poi c'è un addio, un forzato addio e un bambino che corre a perdifiato per fare in modo che quell'addio non sia più.
Una fermata di stazione persa nel nulla, un treno che arriva e lui che va via.
E c'è una musica di flauto che torna sempre e sempre, ed è così bella, sembra il flauto di Olsen Olsen dei Sigur Ros, la musica degli angeli.
Quella musica è la musica di un padre.
Quella musica finisce in un barattolo e quel barattolo finisce nella terra, la terra dove quel padre lavorava.
Sopra quella buca il sasso multicolore.
Ci sogno gli incubi della mancanza.
Ci sono tramonti pastello che nemmeno quelli veri riescono ad emulare in bellezza.
C'è Il Brasile.
Il Brasile dei poveri piatti di riso, il Brasile delle disumane piantagioni ci cotone, quello del Carnevale, quello del calcio ormai sempre meno umano e sempre più tecnologico.
C'è il Brasile dei canti nonostante tutto.
E poi in quella disperata ricerca di lui ci sono fabbriche spersonalizzanti e distruttive.
Ci sono uomini ingranaggi che un giorno verranno sostituiti da ingranaggi veri.
Ci sono pendii che diventano oceani con la pioggia.
C'è la città frenetica, ferrosa e minacciosa.
E poi la favela e quelle scale infinite, quella fatica immane solo per raggiungere un pò di triste e mesto riposo.
C'è la tv che racconta illusioni lontanissime e i negozi che raccontano di illusioni molto più vicine, apparentemente a portata di mano, eppure anch'esse così lontane.
Ci sono navi mercantili che vengono addotte in città ufo.
C'è l'aquila nera.
L'aquila nera della dittatura, del progresso, della politica, della violenza, della disumanizzazione che lotta e uccide il bellissimo uccello dai multicolori, quello della gioia, degli uomini, dei canti, del mondo che fu.
E il sangue di questo uccello sono solo palline di colore che si perdono nei rivoli dei canali di scolo.
Ci sono macchine che mangiano foreste, macchine che mangiano uomini.
E poi si diventa grandi e quel treno che un giorno portò via lui è lo stesso treno che adesso porta via te, bambino non più bambino.
Tornerai però.
Sarai vecchio, stanco, ma con addosso un berretto e un vestito dai mille colori, come se, nonostante tutto, quei colori, finalmente, sono tornati.
La musica di quel flauto è sempre là, la musica come i ricordi sono destinati a non morire mai.
E c'è un albero che un giorno fu seme piantato a sei mani.
Adesso è grande e rigoglioso.
Se chiudi gli occhi, vecchio, potrai ancora rivivere l'abbraccio di quando eri piccolo ed eravate tutti e tre là, insieme.
C'è l'insostenibile e gigantesca potenza delle piccole cose.
C'è un cartone fatto con niente che è un incanto.
C'è la debordanza dell'essenziale.

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