che io abbia inavvertitamente scelto la seconda proiezione cosicchè non solo mi sono perso più di un'ora di dibattito post prima proiezione ma ho iniziato la mia alle 23.40 (anzichè 22.30) e ovviamente per noi. finito il film all'una e 20 di notte, non c'è stata nessuna discussione...
Però Lo Cascio ci ha presentato il film 10 minuti, giusto per inquadrarlo e "lamentarsi" (giustamente) dell'indecente distribuzione italiana che assegna il numero di copie ancor prima di vedere i film. E' il solito discorso, siamo noi a decretare cosa piace o cosa non piace o sono "loro" a farlo a tavolino per noi?
Il nuovo pubblico, quello cresciuto a pane ed effetti visivi, ha colpa di alimentare solo questo settore oppure è il mondo della distribuzione ad averlo allevato così?
La città ideale è stato distribuito in 20 copie, una cifra ridicola.
E così nella prima scena, quella in cui il protagonista -malato delle energie alternative, niente acqua, luce e gas- mette dei secchi per raccogliere l'acqua piovana mi sono immaginato che quei secchi fossero la ventina di copie del film e l'acqua che dovevano raccogliere i possibili consensi. Beh, restando dentro metafora mi auguro un temporale per Lo Cascio. Io intanto il mio bicchiere d'acqua ce lo metto.
Michele Grassadonia è un architetto palermitano trapiantato a Siena (informazione molto importante alla luce del finale). Per farla breve una notte trova un corpo riverso sulla strada. Lo soccorre, chiama la polizia ma una serie di casualità sfavorevoli lo porta ad essere l'indiziato.
Si è parlato molto di Kafka per questo film. In realtà l'immenso scrittore ceco scappa fuori troppo spesso quando un film affronta certe tematiche come il disagio interiore, la surrealtà, il non riuscire a difendersi, il tormento, il sentirsi imprigionato in qualcosa di indefinito, la burocrazia etc... etc... .
Io ci ho visto tanto anche dei racconti di Gogol, questa atmosfera tra il tragico e il comico, queste povere persone a cui accadono piccoli e strani avvenimenti, questa "società" sfuggevole e pericolosa.
L'intreccio è semplice, un pasticciaccio brutto dal quale Michele non riesce ad uscire.
Prima di trovare l'uomo il protagonista ha investito qualcosa, o qualcuno. Il pensiero lo tormenta, sa che la sua salvezza può trovarla in quel ricordo (perchè giustificherebbe uno dei due danni alla carrozzeria, quello decisivo).
Michele non vuole usare mezzucci per difendersi, nessuna tattica, crede che l'unico modo per salvarsi sia semplicemente dire la verità, anche se questa sembra così strana, confusa e piena di arzigogoli.
Il film è un dialogo dopo l'altro, un tentativo di tutti di capire cosa è successo quella notte.
Il Caso è stato senz'altro decisivo, tutto -e qui quella letteratura tragicomica a cui accennavo- sembra aver giocato contro Michele. Da 8 anni non guidava, prende la macchina proprio quella sera. Da almeno 10 giorni non pioveva (lo si nota dai foglietti iniziali), quella notte il temporale. E poi investire quel qualcosa o qualcuno prima di trovare un corpo. La macchina è ammaccata, tutto fa sembrare sia stato lui. Fortuna che un collega (a proposito, Michele è odiato da tutti per le sue manie ecologiche) a un certo punto gli dice "col solito culo che c'hai...".
Lo Cascio (al solito bravissimo come attore) riesce nell'impresa di confezionare un'opera prima che ha un proprio stile. E' forse proprio nella ricerca dell'originalità e della commistione di generi che ogni tanto incappa in qualche scivolone. Ad esempio l'indagine è abbastanza blanda, troppo per fare di questo un thriller o un noir serrato. E il ricorso ai sogni (di solito le sequenza oniriche sono sempre segno di autorialità) davvero gratuito a volte. Lo spettatore tende a credere che quelle sequenze portino alla fine al ricordo di cosa è successo quella notte mentre invece l'illuminazione ci sarà sì, ma con una botta in testa e un dipinto, altro che sogni. E il tentativo d inserire una Lei (magnifica ragazza) nel plot si rivela alla fine per nulla significativo (rapporto un pò simile a La migliore offerta). Peccato perchè singolarmente i due personaggi, il protagonista e lei, avevano una propria caratterizzazione davvero forte e non mancano intuizioni in tal senso (ad esempio gli studi della ragazza sulla cattura...).
Ma il funziona alla grande, alcuni dialoghi sono veramente ben scritti, gli attori, quasi tutti del sottobosco italiano, sono ottimi e la regia, come dicevo, dimostra di avere gusto e stile. Tanti i primissimi piani, alcuni magnifici.
La qualità più grande del film però è che è pur trattandosi di vicenda molto verosimile e, in parte, anche tendente alla critica sociale, non c'è mai un senso della verosimiglianza totale, sembra tutto assurdo e grottesco. L'ufficiale giudiziario in carne che dialoga affannosamente per le scale ma poi non entra in casa, il dialogo con l'avvocato col cinese a far la spia, l'interrogatorio finto con la madre, lo stalliere con le ceneri del cavallo, Lo Cascio, anche se si dice il contrario, si discosta molto da certo cinema verità pur prendendolo ad esempio.
Poi nel finale il personaggio della madre (la vera madre di Lo Cascio) è così straordinario che illumina il film di luce propria. E l'avvocato palermitano si candida come miglior personaggio della pellicola ( e Burruano, credo zio di Lo Cascio, come miglior attore).
Ala fine Michele per salvarsi deve tornare alle proprie radici, alla chiassosa Palermo contrapposta alla placida ma oramai nemica Siena.
E' un omaggio alle proprie radici davvero potente per il regista.
Con, anche, qualche velata critica, specie in quel "i modi per convincerli li troviamo".
E in un finale molto inaspettato quel sorriso può voler dire tante cose.
Una parvenza di tranquillità ritrovata, un improvviso capire di come va il mondo, un sorriso carico di tensione per quello che dovrà avvenire con i "metodi" palermitani, il ritrovarsi in mezzo alla propria gente e riconoscersi.
O semplicemente un sorriso per quei funzionari che si tirano le cartelle.
Questo è il Sud.
E ride Lo Cascio.
Bravo Luigi.
( voto 7,5 )