Bellissimo e vero come solo le opere genuine sanno esserlo.
"Non essere cattivo" può essere un ammonimento, una richiesta, una speranza.
Un film.
Ed è l'ultima frase, l'ultimo lascito di un regista dall'incredibile storia, 3 film in 32 anni, forse perchè scomodo, forse mal consigliato, forse incapace di imporsi, forse mille altre cose di cui siti, giornali e blog mille volte più informati ed importanti del mio hanno parlato e parlato.
Qui, lo sapete, di informazioni non ne avrete.
Qui ci sono soltanto io, quello che vedo, quello che sento e quello che so. Di mio.
E quello che vedo, sento e so è che con un regista così non doveva andare così.
Ricordo ancora la visione di Amore Tossico, quasi casuale, inaspettata. Un documentario travestito, malamente, da film tanto era la verità che aveva dentro, non solo in cosa raccontava ma anche attraverso chi lo faceva, quel gruppetto di veri "tossici" (che orrenda parola) in cerca soltanto di dosi e morte.
E mi ritrovo adesso lo stesso nome di uno dei protagonisti di allora, Cesare, mi ritrovo la stessa corsa ripresa dall'alto, e poi lo stesso muretto, e poi il gelato, che non sarà lo stesso ma lo stesso alla fine è. Che in questa strana, meravigliosa e triste storia che è Caligari, i suoi film, la sua vita e la vita dentro i suoi film, di corti circuiti ce ne sono tanti e questo ripetere la stessa scena è qualcosa che trascende il film, i film, qualcosa di potente, un'affermazione di sè, un chiudere un cerchio, un gridare chi si è e chi si era.
O chi si poteva essere.
Non siamo più nei primi anni 80 ma nella metà dei 90.
E ci si veste di merda lo stesso, e ci si sballa lo stesso, non saranno più le siringhe è vero, anzi, adesso le siringhe si odiano pure (in una scena emblematica lo si capisce), adesso ci sono le pasticche.
Ma Ostia è sempre Ostia e i ragazzi dei due film sempre ragazzi persi, zombie senza vita che stavolta, forse, all'abulia sostituiscono l'effetto psichedelico di ecstasy e musica.
Ed ai veri tossici si allora si sostuituiscono degli attori, ma mica la differenza la vedi tanto eh, che Luca Martinelli e Alessandro Borghi sfiorano il paradiso dell'arte attoriale con quegli occhi a tratti spenti ed altri spalancati, con una cura dei dettagli, sia da sballati sopra le righe che in quelli quasi impercettibili delle fasi down, di impressionante livello.
E le scene dove si incontrano e si scontrano sono bellissime, vere, come quella della scazzottata nel bar (che fotografia..), come tutte quelle in cui non c'è bisogno di spiegarsi perchè noi ci capiamo.
Magari, anche qua, il merito è di Caligari.
Lo è senz'altro nel raccontarci una storia che pare quasi ferma, solo uno squarcio come tanti nella vita di queste anime perse, e invece la sceneggiatura senza che te ne accorgi va avanti, e avanti, porterà ad una morte struggente e ad un'altra preannunciata, che poi vai a capire quale è quella struggente e quale quella preannunciata, che entrambe sono tutte e due le cose, porterà ad un tentativo di uscire dalla morsa del mostro, ad una timida ma al contempo fortissima voglia di essere famiglia, pulita, nella merda come tutte le famiglie povere sì, ma pulita.
E come avvenne col sorprendente sogno di Amore Tossico anche stavolta Caligari sa uscire fuori dalla realtà, sa immaginare, vedere o sognare altro che non il solito e lucido pasto nudo che i ragazzi vivono giornalmente.
E sa farci ridere Caligari, con decine di frasi che diventano già citazioni nell'attimo stesso in cui si pronunciano, con quel "alla posta ce mettono de meno" e quel "non te la magnà eh" detti dentro quell'automobile, con quel doversi concentrare su sto cazzo de pasta e con la scena felliniana del delirio circense, comica sì ma talmente raggelante per il suo protagonista che il giorno dopo sarà il primo nuovo giorno di una nuova vita.
Se Vittorio ce la fa la stessa cosa sembra non poter accadere per Cesare, una vita di eccessi e disgrazie alle spalle, un'esistenza ormai segnata che prova a non raccontarsi tale.
"Non essere cattivo" c'è scritto in quel peluche e chissà se lei l'ha scritto al peluche stesso o allo zio, non certo a Dio che, se esistesse, cattivo con lei lo è stato di certo.
Lui legge quella scritta e fa una cosa che non avrebbe dovuto fare, un atto criminale disperato che non rispetta il tenero ammonimento scritto in un peluche.
E se non rispetti i veri dei, i bambini, poi sarai punito.
E non importa se quelle canne mozze son vuote, se davvero non saresti mai stato cattivo.
Non importa.
Ma l'ultima immagine che ci lascia in vita questo regista è un volto felice, è una nuova vita.
Un regalo finale, la vita prima della morte imminente, un segno di speranza e felicità in un film, in una vita che di felicità e speranza sembra averne avuta tanto poca.
E sarà anche retorico e di maniera usare i nomi propri ma stavolta, almeno stavolta, occorre farlo.
Grazie Claudio.