Ci risiamo! Una “piccola impresa meridionale” è il nuovo film italiano in sala, dall’ennesima confezione dignitosa e molto curata nei dettagli. L’opera, che non supera alcun limite, non pretenziosa e dall’ottimo cast, ha un’evidente voglia di essere leggera, intelligente e portatrice di un messaggio positivo, com’è bene che accada in un momento buio come quello che stiamo vivendo, in cui ogni giorno le notizie ci demoliscono il buon umore. Però, in questa storia qualcosa non funziona e, di nuovo, ci ritroviamo a definire una pellicola “carina”, perché non del tutto convincente.
Questo film raggiunge (a fatica) la sufficienza grazie alla sua sobrietà, al soggetto (per una volta) originale e alla fotografia calda e gentile che mai acceca o assopisce lo spettatore, ma non ci trascina dentro la storia, non ci fa innamorare dei personaggi, non ci fa sospirare, evadere, tifare per nessuno e ci dispiace un sacco! Perché il cinema italiano sta facendo un evidente sforzo per scrollarsi di dosso stereotipi, cattive abitudini, leggerezze non più accettabili ma pare ancora lontano dallo standard elevatissimo che contraddistingue le commedie “carine”, per esempio, d’oltralpe.
Ma cosa accade esattamente in questo film? Papaleo ci porta nelle calde terre del sud, in provincia, in una famiglia perfetta nel seguire i più italici degli schemi: mamma vedova instancabile, figlia maritata con il bravo ragazzo del paese e primogenito prete. Se non fosse che un bel giorno, i figliuoli prodighi decidono di prendere in mano le proprie esistenze e mentre la giovane Rosa Maria (Claudia Potenza) scappa di casa con l’amante e tramuta il consorte (Riccardo Scamarcio) ne “il cornuto” del paese, il parroco (Papaleo) abbandona l’abito talare perché scoppola per una sottana.
Mamma Stella (Giuliana Lojodice) dalla vergogna confina il povero ex-don Costantino nel cadente faro di famiglia dove, però, uno dopo l’altro, tutti i personaggi di questa storia confluiranno: chi alla ricerca di una confessione, chi per fuggire dalle malelingue, chi perché non ha altro posto dove andare. Così da luogo di (buon) ritiro diverrà un vero porto di mare per tutti i “diversi” del circondario.
Le situazioni carine sono molte, gli equivoci e le frasi spiazzanti pure, ma non ridiamo mai di gusto e non riusciamo a sentirci vicini ai nostri eroi che dovrebbero incarnare le piccole diversità tipiche del nuovo millennio. Col risultato che sopportiamo, apprezziamo ma percepiamo tutta la parte finale del film in cui, tra l’altro, avviene l’unico vero scivolone, incomprensibile giacché le posizioni di tutti erano piuttosto palesi. E purtroppo percepiamo il faro, inizialmente ricovero in cui metabolizzare i cambiamenti, come l’unico luogo sicuro in cui essere felici, quasi un esilio volontario da una realtà non pronta ad accettare che i tempi siano cambiati, che le persone possano sbagliare, e che crescendo, le esigenze possano modificarsi. Giudizio che, ci lascia piuttosto pensierosi…