“Al di là del sole” di Gerardo Melchionda rappresenta una profonda riflessione sul tema dell’esistenza di Dio, ma soprattutto una provocazione che in quest’era di restaurazione e di conservatorismo becero e ceco, dove la mediocritas e l’ignoranza assurgono a egemoni regnanti dell’esistente riporta ai veri valori della vita, facendo affidamento alla ragione e al sentimento e non alla “fede”: oggetto inanimato che appartiene ad una sfera non raggiungibile e non comprensibile, misterica per l’appunto e come ogni mistero velata di fascino e inconoscibilità.
Ciò che è conoscibile, invece, è quello che Kant chiama “noumeno”: il fenomeno come fatto sociale, esplorabile e fonte di esperienza, perciò esperibile cioè praticabile e trasmissibile, fonte di conoscenza, pensiero formativo e, perciò, “utile”.
Melchionda analizza il Vecchio e il Nuovo Testamento in un “libellum” scorrevole e di facile comprensione, che ha la sua forza proprio nel voler essere divulgativo. In questi anni stiamo assistendo ad una manipolazione dell’informazione da parte dei media gestita dai poteri dominanti: tra questi vi risiedono anche le chiese delle varie confessioni religiose. Basti pensare per tutti al potere delle nuove sette religiose come “Scientology” negli Stati Uniti. La Chiesa Cattolica Romana non ha fatto altro che adattarsi ai tempi aggiornando il suo ufficio stampa e le sue tecniche comunicative: assoldando comunicazionisti esperti influenzatori di masse che hanno fatto il cosiddetto ristyling ad un Papa, definito il “Papa media”, che grazie ai mezzi di comunicazione di massa, le “high technology” e i nuovi ed efficienti mezzi di trasporto ha condotto la sua immagine fino ai confini del pianeta. La sua immagine, ben detto, ma non la parola: quel “verbo” tanto professato, ma sconfessato in ogni sua parte dall’azione degli alti prelati di questa chiesa, che conserva ancora un’impronta medioevale e retrograda. Sfido chiunque a cercare il messaggio cristiano di umiltà, misericordia e parsimonia nella pomposità dei funerali di questo Papa: rito religioso di commiato trasformato in un evento su cui speculare dai media di tutto il mondo, ingigantendo la cosa in maniera spropositata.
Melchionda ha il coraggio di esprimere le sue opinioni liberamente: dedica il suo scritto “a tutti gli uomini soli… a tutti gli emarginati… a tutti i diversi”. A quegli “ultimi”, per farla breve “che saranno i primi nel regno dei cieli”, ma che per lo scrittore potrebbero essere i primi anche in terra.
Melchionda chiede al lettore uno sforzo partecipativo di comprensione della sua riflessione: vuole che chi legge si renda interprete delle sue parole e che muova critiche, obiezioni… Gerardo, insomma, vuole il “dialogo”! Dialogo che non esiste più, confronto che si evita perché si ha paura di crescere, di dubitare delle proprie idee, di mettersi in discussione o peggio quando si ha la prepotenza dei forti e l’arroganza dei furbi che non intendono assolutamente dialogare, ma ai quali premono soltanto i loro interessi personali.
Il Prof. Melchionda cita Gandhi a ragione: “Se non riuscite a rendervi conto che la fede altrui è altrettanto vera della vostra, quanto meno dovreste sentire che gli altri uomini sono altrettanto veri di voi”. Egli lancia il suo appello alla tolleranza mediante le parole di un fedele, di una guida spirituale che condusse milioni di indiani verso la liberazione attraverso un percorso di lotta nonviolenta e di fede.
La sua disamina delle Sacre Scritture è attenta ed ironica nelle sue varie parti, anche, se naturalmente, lo scrittore non può soffermarsi a lungo su questioni che richiederebbero centinaia e centinaia di pagine. Ma non è questo l’intento dell’autore, che, invece, vuole consegnare alla gente della sua comunità una lettura fresca, agile, veloce, diretta comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
Alla fine del testo, Melchionda, cerca di tirare le somme spostandosi dal tema dell’esistenza di Dio alla possibile soluzione di una situazione stagnante e pericolosa per la stessa ragione umana: la riscoperta della politica. Questa è la soluzione che auspica e d'altronde non è il primo a farlo. Melchionda sa benissimo che tutto si decide nelle numerose stanze dei bottoni, che la classe politica dirigente ai suoi vari livelli, oggi, è sempre più corrotta e versa sempre di più in condizioni di ignoranza crassa. L’autore non transige sulla divisione, sancita dalla nostra Costituzione, tra Stato e Chiesa e a ragione direi, visto che assistiamo quotidianamente ad invasioni dall’una e dall’altra parte negli affari dell’una e dell’altra istituzione: sono intollerabili interventi di rappresentanti delle istituzioni durante riti religiosi, adoperati ad hoc per bacchettare i propri avversari politici e per fare campagna elettorale. Dovrebbero esistere quei momenti istituzionali di confronto dove sarebbe possibile se non il dialogo almeno il confronto. Ma si sa l’arroganza, la prepotenza, la presunzione soprattutto nei piccoli centri la fanno da padrone…
Melchionda fa un primo passo verso il chiarimento, verso sereno dopo la tempesta, fa un po’ di ordine nelle cose del mondo…
Un unico passaggio, salta, a mio avviso, quando offre la possibilità della riscoperta della politica, quella vera, al lettore si impunta nel voler dimostrare l’inesistenza di Dio ed ad affermare che non crede assolutamente nell’esistenza di quest’ultimo. Avrebbe dovuto, forse, chiudere la sua riflessione affermando che il problema di Dio è uno “pseudoproblema”, un falso problema, come pur scrive, in fin dei conti, quando afferma che tutti i libri sacri, di tutte le religioni sono stati scritti da uomini e perciò, come recitava il titolo della bozza di “Al di là del sole”, è “l’uomo che creò Dio e non Dio l’uomo”. I racconti narrati nei testi sacri sono i primi tentativi di uomini che iniziavano ad usare la ragione per spiegarsi eventi, fatti, cose ai loro occhi inspiegabili. La paura dell’universo e dei suoi segreti ha portato l’uomo nella sua ignoranza a creare stuole di idoli, di dei, semidei, ninfe dei boschi. Ogni grande popolo della terra ha la sua genesi e tutte si rassomigliano perché? Perché 4.000/5.000 anni fa l’uomo, accomunato dall’essere uomo e dall’esistere, nei posti più disparati della terra si interrogava sulle medesime questioni e non riusciva a darsi risposta. L’uomo, perciò essere dotato di immaginazione, dote sublime, si diede le risposte che poteva darsi nei limiti del suo mondo, della sua percezione del reale. Nacquero, così, storie, leggende, racconti mitici che affondano negli albori del tempo.
La riflessione sull’esistenza di Dio, perciò, è fine a se stessa, poiché mai nessun uomo potrà raggiungere una verità assoluta praticabile da tutti gli uomini. Come diceva Don Marcello Cozzi alla presentazione del libro di Melchionda a Lagonegro: il cristiano, prima di tutti, deve porsi interrogativi, deve dubitare della propria fede, del proprio cammino, perché la ricerca di Dio deve essere concepita come un viaggio, un percorso, un cammino, come direbbe il Sub Comandante Marcos un “camminare domandando”.
L’augurio più bello di liberazione che fa Melchionda, però, è rivolto ai giovani: “Invito tutti i giovani a vivere la loro vita nella libertà, lontani dai condizionamenti e dai tabù delle religioni e delle ataviche costumanze e nella dignità del loro stato di esseri pensanti.
Invito tutti i giovani a godersi la gioventù, che io ho vissuto condizionato dal mio bigottismo irrazionale. Amatevi! Siate portatori di allegria e allegri voi stessi! La gioventù è il più bel dono della vita. Non sprecatela!”