Al di là delle Ande: la crescita economica del Perù

Creato il 03 marzo 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Francesco Trupia

Grazie a un’economia simile a quella cilena, un welfare paragonabile al socialismo venezuelano e ad un sistema politico che sembra ripercorrere lo scenario del “kircherismo” argentino, il Perù è divenuto arena strategica del soft-power internazionale nonostante tipici retaggi negativi del passato possano minare l’esponenziale crescita economica del Paese.

Oggi il Perù è riconosciuto come “Migliore destinazione culinaria dell’intero Sud America” dal World Travel Award, “Best Potential Tourist Destination” per i turisti cinesi e uno fra i “Dieci Nuovi Paesi Emergenti” per crescita industriale secondo le stime dell’Istituto Coface – for Safe Trade. Il Report su “Prospettive e Situazione Economica Mondiale” (WESP) delle Nazioni Unite evidenzia come i tassi di crescita peruviani si attestino intorno al 6,3% per l’intero 2015, affermando il Paese come seconda economia più veloce tra quelle latino-americane e della comunità caraibica.

Sistema politico “chiuso” e libero mercato

Nonostante il Paese andino stia confermando i positivi pronostici stilati anche dalla Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL, organismo dipendente dalle Nazioni Unite) per il biennio 2014-15, il regime politico, nonché la difesa del libero mercato come politica economica, preoccupano più gli osservatori nazionali che quelli internazionali.

Le forti manifestazioni di protesta conseguenti l’approvazione in Congresso della nuova legge sul lavoro appaiono conseguenti ad un accentramento di potere sempre più palese all’interno dei suoi vertici decisionali. I precedenti avvenimenti politici in Perù, dal tentativo di colpo di Stato contro l’ex Presidente Alberto Fujimori, organizzato proprio dall’attuale Capo del Governo Ollanta Humala, fino al non chiaro scenario di candidatura di quest’ultimo nel 2005 [1], sembrano spaventare non poco l’opinione pubblica peruviana.

Il possibile prossimo passaggio di testimone alla presidenza del Paese, quindi proprio tra l’attuale Ollanta Humala – impossibilitato a presentarsi per un terzo mandato consecutivo – e la moglie, Nadine Heredia, viene sempre più comparato al caso argentino del “fattore K” e alla sua poca trasparenza politica. Come Christina Kirchner infatti, insediatasi dopo la scomparsa del marito Nestor Kirchner, la first lady andina rappresenta nel Paese una delle figure politiche più influenti e prossima a sostituire politicamente la figura del marito.

Nadine Heredia ricopre l’incarico sia di Presidente, sia di Responsabile delle Pubbliche Relazioni del Partido Nacionalista Peruano (PNR), attuale partito a capo della coalizione di governo. La sua figura politica ha spaccato negli ultimi mesi il Paese tra contestatori e sostenitori.

A differenza dell’attuale appeal politico della Kirchner in Argentina, diminuito notevolmente a causa del default economico e dello scandalo Nisman, quello di Nadine Heredia sembra essere tanto cresciuto da riuscire a confermare le indiscrezioni in merito a una sua possibile candidatura alla presidenza del Perù nel 2021 [2]. La sua possibile elezione rappresenterebbe un evento unico per la storia del Paese, che non ha mai avuto un Presidente donna. Ma l’affermazione di un tale modello patrimoniale-familiare, tipico dei regimi autoritari sudamericani del recente passato, il cui progetto socio-economico spesso non va al di là dell’arricchimento privato e dinastico, potrebbe ricondurre il Perù dentro l’ennesima e negativa pagina politica che molti altri Paesi della regione hanno vissuto.

Inoltre, la vicinanza tra il Presidente Humala e le Forze Armate, anch’essa non esente da zone grigie per l’amnistia ricevuta dopo lo sventato colpo di Stato contro Fujimori, è uno dei modelli più frequenti in America Latina nonostante la tipica ideologia politica dominante, quella liberale.

Sul piano economico, infatti, la crescita media dell’economia nazionale si attesta al 4,5%, seconda solo a quella di Panama (7%) e Bolivia (5,5%). Proprio perché rappresenta uno dei Paesi più attrattivi, il Perù e il suo export superano i corrispondenti dati del Brasile, del Cile e del Messico, riuscendo addirittura a doppiare quelli di Buenos Aires.

Tasso di crescita del PIL in valore assoluto – Fonte: Trading Economics

Dinnanzi una tale positiva crescita gli investimenti sono previsti ad aumentare e divenire sempre più influenti per lo scenario della finanzia internazionale. Il nuovo bond in Sol da 7,412 miliardi, che la Repubblica del Perù ha collocato sui mercati internazionali, attesta un rendimento decennale dell’oltre 5,60%. Investitori istituzionali come la Bank of America Merril Lynch, il Banco Bilbao Vizcaya y Argentaria e Morgan Stanley lo hanno sottoscritto con il triplo delle offerte.

Anche il rating del debito pubblico del Perù dimostra essere uno dei migliori non solo tra quelli latino-americani, ma superiore anche a quello italiano. La nuova classifica dell’agenzia di rating Standard&Poor’s lo ha indicizzato con un grado di investimento pari al BBB+, ossia adeguato per le capacità di rispettare obblighi finanziari. Identica, sebbene differente negli indici, quella di Moody’s che ha classificato il debito pubblico peruviano con un medio-alto livello, corrispondente all’indice A3, con un basso rischio di credito sul lungo termine.

Momentaneamente appaiono negative solo le statistiche dell’Asociación de Administradoras de Fondo de Pensiones de Perú che, in controtendenza con gli istituti internazionali, attestano una diminuzione della crescita per il 2015. Sebbene solo dello 0,8% rispetto al 2014, secondo l’Istituto peruviano la crescita si fermerebbe al di sotto del 4%.

Il maggiore rischio che l’economia peruviana potrebbe correre è quello correlato alla pressione inflazionistica del dollaro su Paesi – come Brasile, Venezuela, Cile e proprio Perù – che hanno riorientato il proprio export verso la Cina, a differenze di altre economie latino-americane (come Messico, Colombia e le repubbliche dell’America Centrale) che stanno siglando nuovi accordi commerciali con gli Stati Uniti e sull’asse del Pacifico grazie al Trans Pacific Partnership (TPP).

La sfida regionale del Perù sull’asse del Pacifico

Il suo ruolo di Paese fondatore dell’Alleanza del Pacifico e di importante negoziatore all’interno del TPP ha dimostrato l’importanza economico-politica del Perù e le grandi opportunità che in ambito commerciale e finanziario riesce a garantire soprattutto agli investitori internazionali.

I molti sostenitori statunitensi del TPP, tra cui l’ex Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, hanno confermato la possibilità di un’importante apertura del mercato estero di servizi, finanza e grandi progetti. Secondo il Peterson Institute for International Economics l’aumento del 20% della manifattura stimolerà uno dei settori più all’avanguardia del commercio internazionale: il settore informatico.

Tutto ciò avvicinerebbe proprio il Paese andino alle logiche dei dodici Paesi sull’asse del Pacifico che hanno negoziato il TPP. Gli oltre quaranta miliardi di dollari investiti, con gli altrettanti quaranta progetti sull’estrazione del rame, principale settore dell’economia del Perù, connette il metallo estratto alla costruzione di prodotti e dispositivi hi-tech oramai di uso comune e quotidiano. Obiettivo strategico rimane il 2020, anno in cui secondo le previsioni verranno triplicati investimenti e vantaggi economici nel settore dell’import/export.

Le importanti riserve minerarie peruviane, che fanno del Paese il secondo produttore mondiale di rame, hanno trovato nella Cina il partner ideale per lo sfruttamento delle risorse naturali nazionali e l’affermazione economica su scala internazionale. L’interesse nell’estrazione del metallo dalle terre peruviane è legato all’importante e strategica green economy di Pechino che, attraverso la compravendita e appropriazione di beni comuni, è capace di produrre beni e servizi informatici su vasta scala distribuendoli globalmente [3].

L’inizio delle ricerche di metalli in Perù vede attualmente il Paese andino protagonista di una delle più importanti campagne di ricerca mai viste, condotta sì in collaborazione con la potenza asiatica ma anche dalla compagnia nazionale Minera Rio Sol. I risultati verranno pubblicati ufficialmente il prossimo maggio al Proexplo 2015, durante la nona edizione dell’International Congress of Prospectors and Explorers.

Le potenzialità di Pechino, che rimane il primo partner commerciale di Perù, Cile e Brasile, rafforzano le idee fortemente critiche del Presidente dell’Economic Strategy Institute, Clyde Prestowitz, già Presidente della Commissione su Commercio e Investimento nella Regione Asia-Pacifico dell’ex amministrazione Reagan, in merito alle positività derivanti dal TPP [4]. Tali critiche si legano a quelle già espresse da Sander Levin, leader democratico del Michigan, che ha palesato anch’egli le differenze strutturali delle economie dei Paesi firmatari il TPP, auspicando la risoluzione delle incongruenze direttamente in materia di diritto commerciale. Alcune analisi sul TPP, condotte dai più scettici, evidenziano solo un leggerissimo impatto positivo dell’accordo sul Pacifico all’interno dell’economia statunitense, intorno allo 0,13%.

Sulla scia di questa pur sempre negativa analisi, il ruolo del Perù come partner commerciale appare sempre principale se non ancora più rilevante. Potrebbe essere una coincidenza ma, durante le fasi di negoziato del TPP, alla notizia ufficiale del Ministero dell’Agricoltura peruviana riguardante un aumento dell’export per il 2015 del 17% nel mercato agro-business, il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense ha chiesto l’abolizione tariffaria tra i Paesi facenti parte della partnership [5].

Le strategie commerciali del Perù appaiono così ancor più inscindibili non solo dalla situazione interna alla regione latinoamericana ma, soprattutto, all’interno del blocco economico dell’Alleanza del Pacifico.

Crescita della regione – Fonte: Fondo Monetario Internazionale

La volontà espressa dal Ministro dell’Economia del Messico, Ildefonso Guajardo, in merito all’abbattimento dei dazi doganali per i prodotti esportati dai Paesi del blocco ad Est delle Ande, ha condotto le istituzioni economico-commerciali di Lima a intraprendere importanti decisioni con i partner dell’intero sub-Continente.

Le ultime incomprensioni sull’asse Perù-Ecuador riguardanti la salvaguardia di prodotti esportati da Lima a Quito, nonché le misure atte a prevenire possibili illeciti in materia di accordi commerciali, hanno condotto Ollanta Humala e il Ministro del Commercio Estero e Turismo peruviano, Magali Silva, a chiedere alla Comunità Andina delle Nazioni (CAN) di bloccare dazi e imposte fino ad una concreta risoluzione della controversia. Quest’ultima ha visto la sua effettiva conclusione lo scorso 6 febbraio con un netto ribasso dei costi delle esportazioni peruviane in Ecuador. Tutto ciò è stato anche sponsorizzato dalla pubblicazione dei dati ufficiali delle stesse relazioni commerciali tra i due Paesi che ammontano ad un totale di 926,9 milioni di dollari solo tra il gennaio-novembre del 2014.

La diversificazione e la ricerca di mercati nuovi e alternativi, anche al di fuori dell’America Latina, rimane per il Perù l’obiettivo primario per supportare la propria crescita. Ciò, secondo quanto affermato anche dalla Camera di Commercio di Lima (CCL), non danneggerà i rapporti con gli stessi Paesi della regione e soprattutto con l’Ecuador dopo la ritrovata unità d’intenti.

Con Colombia e Costa Rica, ad esempio, il Perù mantiene da anni una liberalizzazione tariffaria e un forte accordo di libero scambio anche per quell’export “non tradizionale” che, solamente lo scorso anno, è riuscito a crescere di circa il 6%.

Il prossimo passo del governo di Lima sembra essere quello di stilare una lista ufficiale di circa seicento tra beni e servizi, tutti appartenenti alla categoria di materie prime e beni strumentali, da esentare dalle imposte e dazi doganali per l’export.

Se da una parte è la politica nazionale a tenere preoccupati gli osservatori nazionali, dall’altra, sulla scia di una logica globale-locale, è la politica estera e i movimenti economico-commerciali del Perù che attestano il Paese come una delle economia dell’America Latina più attrattive e in crescita del 2015.

 * Francesco Trupia è Dottore in Politica e Relazioni Internazionali (Università di Catania)

[1] Nel 2005, dopo essersi proclamato leader del PNR, Ollanta Humala non riuscì ad iscrivere il partito al Tribunale Nazionale delle Elezioni, candidandosi con il Partito Unión por el Perù.

[2] Mario Vargas Llosa, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2010, è uno dei principali sostenitori della stessa Nadine Hereira.

[3] Ovviamente in Perù non mancano le forti proteste e critiche degli ambientalisti, sindacati e movimenti indigeni. Proprio il concetto di green economy in Perù, proprio come in tutta la Terra – afferma il saggista Gianni Viale –, inteso come modello di sviluppo economico, deve essere contrastata nei suoi presupposti, perché è l’esatto opposto di una conversione ecologica.

[4] Clyde Prestowitz, The Trans-Pacific Partnership won’t deliver jobs or curb China’s power, Los Angeles Times, 22/01/15.

[5] Agroexportaciones crecerían 17% en 2015, según Ministerio de Agricultura, Perù21, 31/01/15.

Photo credits: Andina/Carlos Lezama

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