“Al di là delle mie paure” di Simone Mastrini

Da Vivianap @vpicchiarelli

Capisci quello di cui hai veramente bisogno, solo nel momento in cui lo trovi, o forse sarebbe meglio dire nel momento in cui è lui a trovare te. Perché questo succede sempre mentre sei impegnato ad inseguire qualcos’altro, qualcosa che hai letto nelle pagine di un libro o che hai visto nelle scene di uno dei tuoi film preferiti, qualcosa che nemmeno tu sapresti spiegare con esattezza, qualcosa che desideri da sempre, solo perché non l’hai mai avuto, o semplicemente perché è quello che desiderano tutti. Spesso però, non lo sai riconoscere quando ci sbatti contro, e quando questo accade non è mai per disattenzione, ma solo perché non sei davvero pronto ad essere felice.

Nessuno di noi è uguale ad un altro, e se miriamo tutti nella stessa direzione, di sicuro stiamo sbagliando bersaglio, o almeno tutti tranne uno. Quello che davvero ci serve è solo un attimo di lucidità per aggiustare la mira, e un po’ di coraggio per trattenere il respiro e il cuore, e provare a sparare. Correre il rischio di sbagliare è l’unica cosa che abbia un senso, perché nessuno può sapere quante altre occasioni gli regalerà il tempo.

A volte la vita è così ingorda di se stessa che non si lascia assaporare, e quello che ci rimane in bocca è solo il gusto amaro del passato. Per questo vale la pena esserci, per questo vale la pena tentare.

Il romanzo d’esordio di Simone Mastrini (finalista umbro alla terza edizione del premio giornalistico La Giara), può essere inteso come una sorta di “diario” di un uomo comune, il ritratto di una parabola umana, uno spaccato di vita in cui il protagonista racconta se stesso e la propria vita nell’arco temporale di quasi vent’anni, e lo fa senza concedersi sconti, senza abbandonarsi a facili indulgenze. Il romanzo, scritto in prima persona, racconta la storia di Nicola, dai 29 anni ai 46, il tempo esatto, ci dice Nicola stesso nell’introduzione a questo diario sui generis, che gli è servito per capire il senso della vita. Nicola, quindi, si mette a nudo, presentandosi al lettore come un uomo che cerca un proprio posto nel mondo tra mille lavori precari, amori fugaci, viaggi di andata e ritorno nel mondo della droga e dell’alcool, passando per la creazione di una famiglia assieme a una donna “interrotta” (Claudia, conosciuta durante un corso di formazione per venditori di elettrodomestici), provata per la morte del figlio e pericolosamente in bilico tra l’inferno e il purgatorio. Nicola è anche un uomo che dopo aver sperimentato la fine del suo matrimonio e l’allontanamento dal figlio adottivo (Hakim, di origine nord africana), si perde tra nottate brave e fiumi di alcool che gli devastano l’aspetto e l’anima. Quando sembra, poi, trovare un nuovo senso alla vita (scoprendo la clown terapia), ecco che il destino gli presenta un conto fin troppo alto da pagare. La tesi di fondo affrontata nel romanzo è quella del “carpe diem”, del cogliere l’attimo senza paura di sbagliare. Cercare di non sbagliare, infatti, non fa altro che sottrarre tempo prezioso a occasioni che sono lì, proprio sotto ai nostri occhi, e che aspettano solo che noi si abbia il coraggio di riconoscerle. Il libro è un’opera coraggiosa perché i protagonisti vengono raccontati in tutta la loro umana fragilità, nelle loro mancanze, nel loro arrancare quotidiano. Nicola e Claudia sono degli anti eroi i cui atteggiamenti, in alcuni frangenti, possono anche infastidire il lettore, ma nonostante questo è come se non si riuscisse a giudicarli e a etichettarli. Forse perché le loro ambiguità sono anche le nostre.

È un libro che parla d’amore, di vita e di morte senza necessariamente edulcorarne gli aspetti più crudi, è un romanzo in cui la “penna maschile” si fa sentire. Non è uno scritto “ruffiano”, “artificioso”, “sdolcinato”, studiato per andare incontro a un certo tipo di pubblico ed è un romanzo che vale la pena di leggere perché fornisce una chiave di lettura inedita sul concetto odierno di precarietà in ogni sua declinazione: lavorativa, affettiva e, soprattutto, della vita umana. Infatti, se oggi il concetto di precarietà ci spaventa, perché intrinsecamente connesso alla crisi economica e valoriale che ci attanaglia, è altrettanto vero che smettere di ricercare l’equilibrio e la stabilità è l’unico modo per non farci scivolare tra le dita le innumerevoli occasioni che la vita stessa ci riserva. Nel libro, Nicola avrà questa consapevolezza troppo tardi.


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