“A Los Angeles, Clay e la sua ragazza Blair si danno da fare in mille modi per strappare l’amico Julian dalla morsa della cocaina (anche se Julian aveva momentaneamente soffiato Blair a Clay). Julian deve anche guardarsi da Rip, pericoloso spacciatore con un grosso credito nei suoi confronti. Ma tutto è vano: durante il viaggio che doveva essere quello della salvezza, Julian soccombe”
Il film, a conti fatti, è soprattutto un mausoleo artistico alla bravura attoriale di Robert Downey jr. Il suo Julian è un personaggio fragile e complesso, inaffidabile ed umano: un inquietante e profetico “doppio” dello stesso attore, che circa dieci anni dopo vivrà una drammatica deriva personale, segnata da continui arresti e condanne per possesso e consumo di droga.
Notevoli anche le scenografie curate da Barbara Ling (The Doors, Pomodori verdi fritti – Alla fermata del treno) che ben amalgamano lo sfarzo plastico del periodo all’ossessione modernista per schermi e video perennemente accesi; scelta che tra l’altro ben sottolinea il senso di disorientamento sociale tanto caro ad Ellis. Non fu un successo di pubblico né convinse lo stesso scrittore losangelino (che rimase deluso dall’adattamento troppo “addomesticato” della sua opera), ma rivisto oggi il film di Kanievska non risulta poi così inaccettabile, sempre se si considera lo stesso come una rivisitazione cinematograficamente semplificata dell’articolata poetica di Ellis. I limiti quindi non sono affatto oltrepassati, ma restano a debita distanza.
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