Al Museo di Storia Naturale “Don Bosco” tra sfingi, tsantsas e agnelli bizzarri

Creato il 19 marzo 2015 da La Civetta Di Torino @CivettaTorino

Lo visitai per la prima volta a 7 anni con la scuola nel lontano 1988. Ci sono tornata quest’anno e tutto mi è sembrato immutato, nonostante siano trascorsi ben 27 anni. Rivederlo è stato come tornare indietro nel tempo… sto parlando del Museo di Storia Naturale “Don Bosco”, allestito nell’istituto salesiano di Valsalice. Un museo secondo me un pochetto vetusto: teche vecchiotte e un po’ polverose, didascalie pittoresche scritte a mano o a macchina… i numerosissimi reperti ben divisi per tipologia, ma, esposti tutti pigiati nelle vetrine, sembrano doverti scoppiare sul grugno da un momento all’altro… Da bambina sono rimasta colpita soprattutto dagli animali impagliati (non ho mai dimenticato l’agnello con due teste!), ma devo dire che tanti sono gli oggetti curiosi e i reperti strani che qui sono conservati.

L’indimenticato agnello con due teste (la foto fa schifo, ma rende comunque l’idea!)

Si tratta di uno dei più antichi musei scientifici di Torino: fu fondato da San Giovanni Bosco nel 1878 in seguito all’acquisto della collezione di circa 850 uccelli imbalsamati, che la contessa Rita Bruno di Cussanio aveva ereditato dal canonico Giambattista Giordano. Don Bosco la comprò per usarla a fini didattici nella sua scuola a Valsalice e per sollevare la contessa da alcuni problemi finanziari. Il 5 luglio 1879 il “Museo Giordano–Bruno” fu inaugurato. Sin da subito la raccolta si arricchì grazie all’acquisto di apparecchiature scientifiche e alle molte donazioni (soprattutto da parte di personalità legate al mondo salesiano) che si susseguirono a partire dal 1896 e che continuano ancora oggi: minerali, insetti, conchiglie, animali, fossili, erbari, materiali etnografici… Al 1967 risale l’allestimento attuale del museo, che, riaperto il 12 gennaio 1969, fu poi intitolato a Don Bosco e reso fruibile anche al pubblico (prima era solo ad uso scolastico).

Il frate-termometro nel corridoio delle apparecchiature scientifiche: a seconda della temperatura il suo braccio si muove e se segna Pioggia il cappuccio del saio scende a coprirgli la testa!

La visita parte dal terzo piano. Nella prima metà di un lungo corridoio sono esposti vari macchinari scientifici, di chimica, fisica, fotografia… di alcuni addirittura non si conoscono più né nome né uso… Nella seconda metà del corridoio si trova la ricca collezione mineralogico-petrografica, formata da oltre 5000 pezzi! In questo piano si può sbirciare anche nelle attrezzatissime aule dove gli alunni seguono le lezioni (ah, ricordo bene i “laboratori” tutti sgarrupati del mio liceo… nostalgia canaglia!).

Poetica didascalia per un misterioso macchinario

Si sale poi al quarto piano e si attraversano il Salone degli Animali (dove si trovano il mitico agnello bicefalo e un topo a sei zampe) e delle Conchiglie (15000!); il Corridoio Etnografico, Entomologico e Botanico e la Sala dei Fossili. Occhio: c’è un odoraccio da svenire, forse dovuto alle sostanze usate per conservare gli oggetti e al fatto che non ci sono finestre né ricambio d’aria. Ma io impavida mi sono tappata il naso e ho resistito ai mefitici effluvi, anche perché qui sono esposti alcuni reperti che hanno catturato la mia attenzione di Civetta : la Sfinge testa di morto e le Tsantsas.

L’Acherontia Atropos (Sfinge testa di morto)

La Sfinge testa di morto è una falena gigante (appartenente alla famiglia delle sfingidi), famosa per essere stata immortalata sulla locandina del film Il Silenzio degli Innocenti e citata da tantissimi scrittori e poeti, come Gozzano e Poe. Il suo corpo è lungo circa 6 cm e l’apertura alare va da 3.5 a 15 cm. Attiva solo dopo il crepuscolo, in volo può raggiungere i 50 km/h (cribbio, va più veloce di me in macchina!). Nel 1758 fu classificata da Linneo con il nome di Acherontia Atropos: secondo la mitologia classica, l’Acheronte è uno dei fiumi che scorrono nell’Inferno e Atropo è la parca che recide il filo della vita. Questo allegro nome le è stato appioppato poiché sul dorso questa falena ha una macchia simile a un teschio e perciò, sin dal Medioevo, è diventata simbolo di morte e incontrarla è presagio di sventure. In realtà la sua unica pecca è la golosità: si infila negli alveari, si imbottisce così tanto di miele da non riuscire più a volare e muore. Le api ricoprono il suo cadavere di cera e lo depositano sul fondo dell’alveare, cosicché non si sviluppino infezioni a causa della decomposizione… L’esemplare del museo è stato trovato morto da uno studente a Pinerolo nel 1998.

Tsantsa dell’Ecuador nel Corridoio Etnografico

Le Tsantsas sono invece qualcosa di molto più macabro. Venivano realizzate dalle tribù Jivaros dell’Ecuador usando le teste dei nemici uccisi in battaglia. La procedura di creazione (che io ora semplifico) era assai delicata: il cranio con il cervello veniva eliminato usando una tecnica molto particolare che evitava l’asportazione dei capelli; ciò che restava veniva immerso in una soluzione che rimpiccioliva la testa e scuriva la pelle; le palpebre e le labbra venivano poi cucite per non far uscire lo spirito del nemico defunto; la testa veniva riempita di sabbia e decorata con piume variopinte. Si credeva che questi trofei fossero dotati di poteri magici. Venivano usati come talismani portafortuna e come simboli di potenza. In museo ne sono esposte due vere e cinque false (fatte per essere vendute ai turisti), queste ultime ricavate usando la pelle di capra. Davvero da brividi…

Crani preistorici della Patagonia nel Corridoio Etnografico

Insomma, si può dire che nel Museo di Storia Naturale “Don Bosco” si possono trascorrere un paio di orette. Non importa che interessi si abbia, tanto qui davvero tutti, dai bambini agli adulti, possono trovare qualcosa di stimolante!
Ps: Se qualcuno di voi durante la sua visita si imbattesse nel topo a sei zampe (che io non ho trovato) e volesse poi mandarmi la foto, gliene sarei grata!

Approfondimenti
Sito ufficiale: Museo di Storia Naturale “Don Bosco”


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