Ricordate Vacanze Romane e il “paese che non ha più campanelli”? A due giorni dal voto l’attualità di quella canzone è sconcertante. [1] Non abbiamo più campanelli, abbiamo in compenso tanti campanacci, una transumanza oceanica di candidati, commentatori ed elettori inaudita che fa un rumore assordante. La campagna elettorale che si sta spegnendo sarà ricordata come la più breve, la più cafona, la più mistificatoria di tutte quelle che il nostro paese è stato in grado di collezionare dal 1861. Candidati che mentono sapendo di mentire e sparano cazzate come i ragazzi che fanno a gara a chi piscia più lontano (mandano lettere deliranti, dicono di voler restituire l’Imu, di creare quattro milioni di posti di lavoro, di risanare i conti, si inventano titoli accademici che non hanno, arruolano “tifosi” dappertutto, anche tra i capi di stato esteri, salvo poi venir smentiti, ecc.), commentatori che imperversano e pubblicano canzoni, brutte, fanno outing denunciando l’omosessualità dei candidati, vanno a Sanremo spacciandosi per comici, sputtanano una carriera intera fiancheggiando l’ultima maschera della Commedia dell’Arte (e che maschera!)…
Motivi per non farsi coinvolgere in questa orrida e psicopatica questua di voti ce ne sono a iosa, le tentazioni di disertare le urne hanno stavolta un motivo intrinseco difficilmente contestabile, però mai come in questa occasione agli elettori italiani è richiesto uno sforzo in più, un coraggio, un equilibrio leggendario, una capacità immensa di saper sceverare ed annullare con il proprio voto la preferenza di milioni di analfabeti deprogrammati. Di fronte alla follia dei villani rinciviliti e dei villani tout court occorre rispondere con una follia maggiore, che è quella di chi va a votare facendosi legare all’albero maestro per non ascoltare le sirene. Comunque vada, io ho fiducia in questi italiani folli, e non importa se saranno pochi o molti, perché solo da loro possiamo davvero ripartire e donare a questo paese la possibilità di un avvenire. Tra parentesi, confido anche nel tempo, che dicono essere galantuomo… difficilmente tra dieci anni avremo ancora tutti questi settantenni e ottantenni rimbambiti e annoiati che stanno dando il peggio di se stessi ammorbando il patrio suolo con il rantolo mefitico delle loro decrepite bocche. Sì, c’è da sperare. Sarò folle?
© Marco Vignolo Gargini