Il cinema è fatto anche di cronologia. Perché i film escono in un dato periodo storico e, col passare del tempo, bisogna valutarli a seconda dell'epoca in cui hanno esordito sul grande schermo. Ma è fatto ancora una volta di cronologia se si vuole recensirli perché, se a differenza dei tuoi 'colleghi' lo hai visto per ultimo, corri il rischio di ripetere all'inverosimile quanto è stato già detto da altri molto più bravi di te. E' il caso di questo The broken circle brakdown, film in concorso insieme al nostrano La grande bellezza per l'Oscar come miglior film straniero e che per un lungo tratto è stato ance il super favorito. E sempre di cronologia si parla perché per affrontare certi argomenti ci vuole anche una maturità che solo gli anni possono darti. Ed io, dall'alto dei miei ventiquattro anni appena compiuti, posso dire che ho potuto imparare molto circa certi aspetti, ma che ho ancora molta strada da fare su altri. Quindi chiedo venia se alcuni dei blogger che seguo potranno trovare stralci delle loro recensioni passate nel leggere quanto seguirà, perché quando si affrontano temi così complessi è inevitabile 'cercare rifugio' da chi la sa più lunga di te e, in parte, venirne condizionato. Perché il cinema è anche condivisione non solo di titoli, ma anche di sensazioni e significati, in maniera tale che ognuno possa apprendere dall'altro. E la condivisione, il confronto umano, è forse ciò che rende grande l'arte in generale in tutte le sue forme.Elise e Dieder, una tatuatrice la prima e un suonatore di musica bluegrass il secondo, si incontrano. Insieme vivono una storia d'amore appassionata e appassionante fino a che, non programmato, arriva un figlio. Anzi, una figlia, Maybelle. Insieme questo terzetto sembra avere la vita perfetta, fino a che qualcosa non sconvolge quell'idilliaco equilibrio: Maybelle ha un tumore e pare non esserci una cura...Il dolore ha varie forme. C'è quello di una storia d'amore che finisce male, c'è quello distorto e ignorabile di un bambino capriccioso e c'è pure quello che si prova per empatia. Sempre di dolore si tratta e, pur essendo circoscritto a un avvenimento comune, è sempre impossibile da definire in maniera globale. Quello che si vuole analizzare qui è il dolore che subentra dopo una perdita, ma anche qui ci sono tante sfaccettature in quel termine che si potrebbe andare avanti fino a domani scrivendone un poema infinito. Come tutti pure io ho subito delle perdite ma veder morire un figlio è una cosa che non ho mai provato e che spero di non provare mai, perché solo a pensarci sto male. E se fa questo effetto a me, che di figli non ne ho mai avuti e che non ne voglio avere ancora per un bel po', lascio immaginare come questo film possa essere distruttivo se a visionarlo sono dei genitori. Tutta questa pappardella per dire che non mi aspetto che tutti concordino con quello che scriverò, forse mi toccherà cambiare parere in merito a questa visione già fra qualche anno perché nulla è mai assoluto, ma tutto è mutevole. Specie quando si affronta un film così particolare e, nel suo tentativo di parlare di un qualcosa di così reale e vicino, difficile. Mi rendo conto che non è una visione che tutti possono affrontare e, nel qual caso, sopportare, giacché nel realizzare un prodotto simile ci sono numerosi rischi, in primis quello di fare una mercificazione del dolore gratuita e quasi pornografica, perché più si fanno cadere in basso i propri personaggi più un certo tipo di pubblico ama considerarti un artista di talento. Invece anche nella più bieca rappresentazione del dolore vanno ricordate delle regole narrative basilari con le quali muovere le proprie pedine, i personaggi, per dare un senso a ciò che si susseguirà sullo schermo. E posso dire che in parte qui ci sono riusciti, al di là del fuorviante titolo italiano. Qui non si racconta una storia d'amore nel più classico dei termini, si parla della fine un amore dettata da delle circostante non certo piacevoli, ma che vengono trattate sempre in maniera più che soggettiva. Il regista belga Felix Van Groeningen ci mette molto di proprio nell'adattare la piece The broken circle breakdown feat the cover ups from Alabama di Johan Heldenberg e Mieke Dobbels, effettuando una commistione di dramma e musica, insieme a una visione tipicamente americana [d'altronde l'America diverrà il sogno infranto di Dieder] di un certo cinema indie che può trovare un largo pubblico, e infatti il film è stato ben accolto. Si adotta il sistema di una narrazione non lineare, che alterna flashback e vari salti temporali in modo da creare delle accoppiate di sequenze davvero crudeli nell'affiancare dolore gioia in maniera spesso subdola e, ogni tanto, furbetta, così come furbo può essere quel finale. Ma per quanto a me quell'ultima, bellissima scena non sia sembrata credibile, non ho potuto negare che non ci fosse cuore. Ed è forse questo a rendere questo film così bello e significativo da vedere, il cuore, perché che si voglia o no è sempre di quello che si parla. E sempre il cuore che ci fa sfornare i nostri capolavori, come le musiche del complesso di Dieder, nate dopo quel terribile momento che ha affrontato insieme alla non-più-compagna Elise-Alabama. Tutto nella vita cambia, le situazioni, le persone e le motivazioni. E spesso siamo noi a far cambiare tutto. Oppure ce ne manca la forza, non si riesce a reagire e quella che ha inizio è una guerra persa in partenza con noi stessi. Perché in mezzo a tutti quei quotidiani esempi di persone che riescono a riprendersi da un grave trauma, c'è anche chi si perde.Se non si fosse capito ne sono uscito abbastanza confuso. Il che non è un male, perché il cinema deve fare anche questo. Ma nonostante non neghi che sia altamente imperfetto, non è una visione che passa liscia. E questa è la cosa più importante di tutte!Voto: ★★★ ½
Il cinema è fatto anche di cronologia. Perché i film escono in un dato periodo storico e, col passare del tempo, bisogna valutarli a seconda dell'epoca in cui hanno esordito sul grande schermo. Ma è fatto ancora una volta di cronologia se si vuole recensirli perché, se a differenza dei tuoi 'colleghi' lo hai visto per ultimo, corri il rischio di ripetere all'inverosimile quanto è stato già detto da altri molto più bravi di te. E' il caso di questo The broken circle brakdown, film in concorso insieme al nostrano La grande bellezza per l'Oscar come miglior film straniero e che per un lungo tratto è stato ance il super favorito. E sempre di cronologia si parla perché per affrontare certi argomenti ci vuole anche una maturità che solo gli anni possono darti. Ed io, dall'alto dei miei ventiquattro anni appena compiuti, posso dire che ho potuto imparare molto circa certi aspetti, ma che ho ancora molta strada da fare su altri. Quindi chiedo venia se alcuni dei blogger che seguo potranno trovare stralci delle loro recensioni passate nel leggere quanto seguirà, perché quando si affrontano temi così complessi è inevitabile 'cercare rifugio' da chi la sa più lunga di te e, in parte, venirne condizionato. Perché il cinema è anche condivisione non solo di titoli, ma anche di sensazioni e significati, in maniera tale che ognuno possa apprendere dall'altro. E la condivisione, il confronto umano, è forse ciò che rende grande l'arte in generale in tutte le sue forme.Elise e Dieder, una tatuatrice la prima e un suonatore di musica bluegrass il secondo, si incontrano. Insieme vivono una storia d'amore appassionata e appassionante fino a che, non programmato, arriva un figlio. Anzi, una figlia, Maybelle. Insieme questo terzetto sembra avere la vita perfetta, fino a che qualcosa non sconvolge quell'idilliaco equilibrio: Maybelle ha un tumore e pare non esserci una cura...Il dolore ha varie forme. C'è quello di una storia d'amore che finisce male, c'è quello distorto e ignorabile di un bambino capriccioso e c'è pure quello che si prova per empatia. Sempre di dolore si tratta e, pur essendo circoscritto a un avvenimento comune, è sempre impossibile da definire in maniera globale. Quello che si vuole analizzare qui è il dolore che subentra dopo una perdita, ma anche qui ci sono tante sfaccettature in quel termine che si potrebbe andare avanti fino a domani scrivendone un poema infinito. Come tutti pure io ho subito delle perdite ma veder morire un figlio è una cosa che non ho mai provato e che spero di non provare mai, perché solo a pensarci sto male. E se fa questo effetto a me, che di figli non ne ho mai avuti e che non ne voglio avere ancora per un bel po', lascio immaginare come questo film possa essere distruttivo se a visionarlo sono dei genitori. Tutta questa pappardella per dire che non mi aspetto che tutti concordino con quello che scriverò, forse mi toccherà cambiare parere in merito a questa visione già fra qualche anno perché nulla è mai assoluto, ma tutto è mutevole. Specie quando si affronta un film così particolare e, nel suo tentativo di parlare di un qualcosa di così reale e vicino, difficile. Mi rendo conto che non è una visione che tutti possono affrontare e, nel qual caso, sopportare, giacché nel realizzare un prodotto simile ci sono numerosi rischi, in primis quello di fare una mercificazione del dolore gratuita e quasi pornografica, perché più si fanno cadere in basso i propri personaggi più un certo tipo di pubblico ama considerarti un artista di talento. Invece anche nella più bieca rappresentazione del dolore vanno ricordate delle regole narrative basilari con le quali muovere le proprie pedine, i personaggi, per dare un senso a ciò che si susseguirà sullo schermo. E posso dire che in parte qui ci sono riusciti, al di là del fuorviante titolo italiano. Qui non si racconta una storia d'amore nel più classico dei termini, si parla della fine un amore dettata da delle circostante non certo piacevoli, ma che vengono trattate sempre in maniera più che soggettiva. Il regista belga Felix Van Groeningen ci mette molto di proprio nell'adattare la piece The broken circle breakdown feat the cover ups from Alabama di Johan Heldenberg e Mieke Dobbels, effettuando una commistione di dramma e musica, insieme a una visione tipicamente americana [d'altronde l'America diverrà il sogno infranto di Dieder] di un certo cinema indie che può trovare un largo pubblico, e infatti il film è stato ben accolto. Si adotta il sistema di una narrazione non lineare, che alterna flashback e vari salti temporali in modo da creare delle accoppiate di sequenze davvero crudeli nell'affiancare dolore gioia in maniera spesso subdola e, ogni tanto, furbetta, così come furbo può essere quel finale. Ma per quanto a me quell'ultima, bellissima scena non sia sembrata credibile, non ho potuto negare che non ci fosse cuore. Ed è forse questo a rendere questo film così bello e significativo da vedere, il cuore, perché che si voglia o no è sempre di quello che si parla. E sempre il cuore che ci fa sfornare i nostri capolavori, come le musiche del complesso di Dieder, nate dopo quel terribile momento che ha affrontato insieme alla non-più-compagna Elise-Alabama. Tutto nella vita cambia, le situazioni, le persone e le motivazioni. E spesso siamo noi a far cambiare tutto. Oppure ce ne manca la forza, non si riesce a reagire e quella che ha inizio è una guerra persa in partenza con noi stessi. Perché in mezzo a tutti quei quotidiani esempi di persone che riescono a riprendersi da un grave trauma, c'è anche chi si perde.Se non si fosse capito ne sono uscito abbastanza confuso. Il che non è un male, perché il cinema deve fare anche questo. Ma nonostante non neghi che sia altamente imperfetto, non è una visione che passa liscia. E questa è la cosa più importante di tutte!Voto: ★★★ ½
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