Alcune Considerazioni su 4 Anni di Viaggio che Mica Sono Pochi

Creato il 04 febbraio 2014 da Angelozinna

Partivo, a fine Gennaio 2010, per un viaggio di sei mesi in Australia. Partivo per sei mesi. Partivo per l’Australia. Mica partivo per quattro anni. Mica partivo per tredici paesi diversi. Mica partivo per finire a vivere due anni in Nuova Zelanda, o per passare un anno intero in Asia. O stare cinque mesi in India. O tornare quattro volte in Thailandia. O abitare quattro mesi in un pulmino. Vivere in uno zaino. Io non lo sapevo cosa sarebbe successo, nessuno mi aveva avvertito. Se avessi saputo che sei mesi sarebbero stati quattro anni sarei partito lo stesso, a vent’anni? Probabilmente no, mi viene da dire. Come si fa?

Non so se sia possibile scegliere in modo conscio di distaccarsi per quasi mezzo decennio da ogni piano, ogni progetto, ogni aspettativa futura, ogni sicurezza, ogni affetto, ogni abitudine per ricominciare tutto da capo senza avere idea di cosa sia quel tutto. La mia scelta non è stata una scelta. La scelta era andare in Australia, andare a lavorare in una fattoria come fanno un po’ tutti, visitare qualche posto con i soldi guadagnati, tornare a casa, fare l’università, rimettermi sulle rotaie delle cose normali. Ma ho deragliato. Niente è andato come previsto, neanche una cosa, e per questo non potrei dire che rifarei quello che ho fatto, perché io non ho fatto niente, sono gli eventi che si sono incastrati così, per caso. Certo, la mia responsabilità sta nell’aver lasciato andare, nell’aver abbandonato l’ansia del controllo e aver accettato, per una volta, di prendere le cose come venivano.

I primi mesi mi sentivo Jim Carrey in Yes Man. Ogni nuova conoscenza, ogni proposta, ogni idea era da accogliere, da scoprire, da rischiare. Tutto era nuovo e ogni dettaglio aveva un valore. Ogni preoccupazione era uno stimolo, ogni passo avanti era un successo. Non c’era un domani in cui sarei dovuto tornare, un’elenco di posti da vedere, un’itinerario, quello che arrivava, lo prendevo, così com’era. I primi mesi, purtroppo, non torneranno. L’intensità del periodo iniziale, quel mettere piede su un territorio nuovo, senza alcuna esperienza di viaggio alle spalle, senza un luogo dove dormire, senza risorse o contatti, senza un biglietto di ritorno ed essendo aperti ad ogni possibilità, non sono riuscito a ritrovarla né prima, né dopo quei primi tre o quattro mesi in Australia. Non si può tornare vergini. Purtroppo.

Oggi, ammetto abbastanza apertamente di aver passato gli ultimi tre anni e nove mesi a ricercare quella sensazione. Ci ho provato in ogni modo a mettermi i bastoni tra le ruote, trovarmi in difficoltà, inserirmi in situazioni estranee, uscire dalla mia zona di comfort, ma non credo sarà mai la stessa cosa. C’è uno svantaggio nel viaggiare a lungo termine che è difficile da superare, ed è legato proprio al motivo stesso per cui si parte: l’esperienza. Se il primo passo è un salto nel buio, dopo anni sulla strada non solo si è preparati e predisposti a ciò che arriverà, ma si acquista una sicurezza che ci fa sentire come se si potesse conquistare il mondo, un passo alla volta. Se quattro anni fa doversi mettere alla ricerca di un’ostello a Melbourne senza una mappa era un’impresa elettrizzante, oggi è un operazione quotidiana, quasi noiosa. Se all’inizio era interessante sapere la provenienza dei propri compagni di stanza, oggi è normale discutere concretamente se sia più opportuno passare dal Kyrgystan o dal Kazakhstan, se il campo base dell’Everest sia fattibile d’inverno, se 2.000 chilometri di itinerario in più siano meglio da fare in treno o in autobus. Ci sono più possibilità che si aprono, con l’esperienza, ma altrettanti dettagli che si perdono.

Non saprei dire con esattezza quando ci si arriva, ma c’è un punto, un momento, in cui si giunge alla conclusione che per quanto riguarda il viaggiare, tutto è possibile. Basta volerlo. Ci si rende conto che per ogni porta del mondo abbiamo la chiave. Questo non suonerà come un ostacolo, ma è facile che diventi tale. Io non sono mai stato agli Uffizi, perché sono a mezz’ora da casa mia. E lo stesso può succedere viaggiando, quando tutto è a portata di mano si tratta solo di scegliere. Scegliere significa prendere controllo, e prendere controllo significa perdere la spontaneetà che un piano definito non può possedere.

Oggi vivo una vita di estremi. Cerco nuove idee e nuovi itinerari, leggo, scrivo e penso come mai ho fatto prima. Fermarmi, mentalmente, mi spaventa, ma trovare nuovi territori, sempre mentali, da esplorare è sempre più difficile. Mi piacerebbe dire che mi accontento di poco, ma direi una bugia, perché per trovare quella novità per ogni passo che fai la distanza si allunga.

Quando comincia la vita adulta? A 18 anni? O a 16? O a 20? Io oggi ho 24 anni. La maggior parte della mia vita da adulto l’ho passata così, lontano. Forse inizialmente il mio ego ha cercato di convincermi che questo fosse uno stile di vita migliore degli altri, indipendente dalle imposizioni della società e altre cose che suonano bene. Ma la verità è che io non ho idea di cosa sia meglio o cosa sia peggio, perché questo essere di passaggio è l’unica realtà che conosco e forse l’unica realtà in cui mi sento bene, per quanto a volte, spesso, vi siano dei buchi da riempire.

Avrei voluto scrivere o descrivere meglio questi quattro anni di avventure, parlare di luoghi e di personaggi, ma mi trovo ad aver a che fare con qualcosa che, ancora, non riesco ad elaborare in modo completo. Quali siano i risultati di questo percorso ancora non concluso, dove mi porterà questo itinerario che mi si stende sotto i piedi e soprattutto, se passare quattro anni sulla strada valga le energie che costa, ancora non lo so. Alla fine, se una fine ci sarà, forse sarà più facile unire tutti i pezzi, ma per ora l’unica cosa che posso fare è continuare a fare quello che so fare meglio fino a quando non vedrò un tragurdo: viaggiare. E io che pensavo di andare a chiarirmi le idee.


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