Alda Merini tra talento e lucida pazzia
Creato il 22 aprile 2014 da Lucia Savoia
“Sono nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle,aprire le zollepotesse scatenare tempesta.Così Proserpina lievevede piovere sulle erbe,sui grossi frumenti gentilie piange sempre la sera.Forse è la sua preghiera”
Alda Merini nacque nel 1931 a Milano, insieme alla primavera. Nel capoluogo lombardo conobbe Giacinto Spagnoletti, che la inserì nella prestigiosa Antologia della poesia italiana (1909-1949) quando l’allora sedicenne Alda non aveva pubblicato quasi niente. Ma poetessa lo era già, e Spagnoletti lo intuì bene. Fu lui ad accogliere la sua prima raccolta importante, La presenza di Orfeo, cui fecero seguito Nozze romane, Paura di Dio e Tu sei Pietro.
Si tratta di poesie dal tono lirico, mistiche e pagane, in cui la Merini tratteggia figure mitiche e religiose non senza investirle di una luce inquietante e angosciosa. Spiragli di una vita tormentata che già si affacciano, seppur velatamente, sulla scena. Ad accorgersi del destino travagliato della poetessa fu Pier Paolo Pasolini che scrisse di lei su Paragone nel 1954: "Uno stato di informità quasi di deformità irriflessa - passiva nel senso più attinente al suo sesso - ristagnante, arcaico, è quello in cui vive la Merini: e da cui, destata dall'inquietudine nervosa, dei sensi infelici, si genera una mostruosa voce maschile a definirlo. A definirlo, per essere esatti, "oscurità" e "attesa" "
Prima di sposare Ettore Carniti, da cui ebbe due figlie, la Merini aveva già dato segno di disturbo psichico ed era stata più volte in analisi. Ma, dopo una delle violente liti con il marito, questi la fece ricoverare nell’ospedale psichiatrico Pini. L’esperienza del manicomio fu un punto di non ritorno. Con i suoi versi trasfigurò l'ospedale e per circa quindici anni (dal 1965 al 1979) la sua esistenza fu un andirivieni dentro e fuori di esso. Ma Alda era già poetessa e la sua poesia non fece altro che rigenerare quel mondo, quell’esperienza. Terra Santa è il libro in cui canta il manicomio. Versi come “Manicomio è parola assai più grande/ delle oscure voragini del sogno”, assolutizzano la poesia che era stata della Merini giovane e la rendono perentoria, ricca di scorci taglienti. Lei stessa, parlando di Terra Santa lo definì il suo capolavoro: “Lì sono riuscita a fare del manicomio un mito, quando invece era una vera schifezza. Ecco, il manicomio è un furto del talento. Il manicomio è una spoliazione totale, della mente e del corpo”. La raccoltà uscì nel 1984. Quelli seguenti furono gli anni in cui Alda Merini visse nella sua casa sui Navigli, in stato di emarginazione, accompagnata dai suoi gatti e in condizioni igieniche non ottimali. Intervenne la legge Bacchelli a sottrarla al degrado e a consegnarla agli ambienti letterari, al mondo televisivo e a una serenità forse raggiunta, non senza qualche atto dell’antica follia, come lo sperpero del premio Librex Montale. I mezzi di comunicazione l’inchiodarono, secondo un chlichè fortemente limitativo, all’immagine di poetessa folle e lei, consapevole del suo talento, accettò subendo. Circondata da persone interessate a lei solo per farne un “caso”, ammirata ma soprattutto invidiata dai grandi, Alda Merini non fu una donna comoda. E non voleva esserlo. Tutt'altro. Ma un’anima sensibile come la sua, tutta pelle, esposta alle variazioni di un temperamento mutevole, incline alla malinconia e allo stesso tempo dotata di ali, le grandi ali dei folli, (ma folli di saggezza), doveva fare i conti con la tristezza quotidiana di quel mondo patologico che noi chiamiamo normale. Normale perché dormiamo. Normale perché ci rifiutiamo di vedere le nostre miserie, le nostre nevrosi ormai elette a modello sociale. Sul piano psichico, la differenza tra il “sano” e il “malato”, diceva Freud, è solo una differenza quantitativa, non qualitativa. Quantitativa. Quindi il confine che separa (apparentemente) i due mondi risiede solo in un accumulo di peso, in un aumento della pressione. Interessante; siamo tutti potenzialmente folli. Ma i matti, spesso, sono terribilmente saggi e vedono cose che noi non vediamo. Sì, a volte i matti vedono, semplicemente. Non guardano. Come diceva anche il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry, tra il guardare e il vedere esiste una differenza. Lei, la vecchia poetessa pazza, in una società in cui il cuore si chiude e la mente si ottunde, aveva saputo vedere meglio degli altri.Articolo originale di Sentieri letterari.
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