Ci sarebbe una nuova indagine. Enrico Rossi, ispettore di PS in pensione racconta «Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto». «proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978».
Una nuova inchiesta nata da una lettera anonima? Non è cosa nuova però era il 2009 «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi,il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…».
Secondo quanto sarebbe scritto il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio di Torino. «Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”.
Rossi che aveva lavorato per l’antiterrorismo leggerà la lettera. Il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. “Non so bene perchè ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta. Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo». Il titolo era: «Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse».
«Nel frattempo – continua Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche ‘incomprensionè nel mio ufficio. La situazione si congela” e non si fa nessun altro passo, che io sappia».
«Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. ” Qualche tempo dopo a Rossi giungerà voce che l’ex poliziotto e morto e le armi sono state distrutte. (Il Secolo XIX)
Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l’ANSA – nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro.
Sul caso interviene immediatamente il PD (ADNK) Anche se la politica non vuole occuparsi del caso Moro, i suoi misteri sono destinati a rivelarsi nel corso del tempo. Le novità di oggi sono sconvolgenti e mettono a tacere i detrattori della nuova Commissione d’inchiesta. Il merito va a quel giornalismo d’inchiesta che sa muoversi con cautela, indipendenza e determinazione”. Lo afferma Gero Grassi, vicepresidente dei deputati del Pd, riguardo alle ultime rivelazioni di un ispettore di Polizia in pensione, Enrico Rossi, su una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani quando fu rapito Moro.
Nella missiva l’uomo sosteneva di essere alle dipendenze dell’ufficiale del Sismi che si trovava in via Fani all’ora del rapimento, e di avere avuto il compito di ”proteggere le Br da ogni disturbo”. ”Ora – avverte Grassi, promotore della proposta di legge che istituisce l’organismo parlamentare di cui si attende l’approvazione al Senato- non si potra’ piu’ dire che l’agguato di Mario Fani fu il frutto della geometrica potenza delle Brigate Rosse che furono in realtà quantomeno osservate e tutelate nei loro propositi. Era del resto scritto negli atti della Magistratura che l’evento di via Fani non era riconducibile solo alle Brigate Rosse. Lo hanno dichiarato piu’ volte Alberto Franceschini e la vedova del maresciallo Oreste Leonardi: i nodi critici della mattina del 16 marzo sono tutti inseriti nel dossier ‘Moro’ pubblicato dal Gruppo Pd della Camera che evidentemente aveva visto giusto”.
”A questo punto -conclude- abbiamo la responsabilità di raccogliere questa ed altre recenti novità e tentare di ricostruire una nuova versione dei fatti per capire chi ha tramato per ottenere la morte di Moro”.
Della necessità di una commissione d’inchiesta parla anche il deputato del Pd Davide Zoggia: ”Quello che sta emergendo in queste ore, in merito al rapimento e all’uccisione di Moro e della sua scorta, dimostra l’assoluta necessità della costituzione di una Commissione d’inchiesta, come già deliberato dalla Camera. Ora si tratta di accelerare perché anche il Senato la approvi, cosicché si possa partire immediatamente per contribuire a fare chiarezza su uno dei casi che ha cambiato la storia del Paese”.
Stessa linea quella del senatore Andrea Marcucci (Pd), presidente della commissione Cultura a Palazzo Madama: ”Le rivelazioni di queste ore sulle presenze in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro confermano la assoluta necessità di ricostituire una Commissione di inchiesta parlamentare. Dopo il via libera della Camera, il Pd chiederà una rapida approvazione anche in Senato. A distanza di 36 anni, forse è più facile arrivare alla verità oggi, in un contesto nazionale ed internazionale completamente cambiato”.