Poche ore separano la storia di Aldro da quella di Paolo.
All’alba di sei anni fa, a Ferrara, veniva massacrato di botte un ragazzo di 18 anni, Federico Aldrovandi.
Otto ore prima, a Verona, veniva massacrato di botte un ragazzo di 28 anni, Paolo Scaroni.
Nulla di strano: quanta violenza si consuma in questo stesso istante, magari tra le mura domestiche. C’è qualcos’altro, tuttavia, che lega queste due vicende, oltre al tempo e alla giovane età delle vittime e all’insensatezza di una violenza bruta e ingiustificata: in entrambi i casi gli uomini e le donne che hanno colpito, che si sono accaniti contro questi ragazzi colpevoli di nulla, vestivano una divisa, e stavano agendo per adempiere alla loro missione di servitori e servitrici dello stato.
La vicenda di Federico Aldrovandi è molto nota: Federico è morto per le violenze subite dopo essere stato fermato ad un posto di blocco. Il ragazzo tornava da una serata a ballare, era l’alba di una domenica. Al processo, i suoi aggressori l’hanno descritto come una specie di bufalo inferocito sotto gli effetti dell’assunzione di sostanze stupefacenti, impossibile da controllare. Per questo avevano dovuto immobilizzarlo a terra. Tutto falso, Federico, è vero, aveva assunto delle droghe, ma non era assolutamente il pazzo che hanno descritto. In quattro avrebbero avuto facilmente la meglio su di un ragazzo di 18 anni, per quanto potesse trovarsi in uno stato di alterazione.
E invece, lo hanno immobilizzato, pancia a terra, lo hanno percosso, gli sono saliti addosso e hanno provocato lo schiacciamento del cuore. Per la sua morte sono stati condannati quattro poliziotti, Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri a tre anni e sei mesi di reclusione. A giugno 2010 la sentenza è stata confermata in appello. Sotto processo anche altri quattro poliziotti per i depistaggi messi in atto nelle prime ore dopo la morte del ragazzo.
Oggi sul blog dal quale la madre, Patrizia Moretti, è riuscita di fatto a riaccendere l’attenzione sulla morte del figlio e quindi a riaprire il caso, c’è il messaggio struggente del papà, Lino:
Un giorno da qualche parte ci rincontreremo e chissà che quell’incubo iniziato quel maledetto e assassino 25 settembre 2005 finalmente finisca.
Apriremo le nostre ali e nel vento scompariremo con un fiore di girasole ed un sorriso, perché la vita ricomincerà da dove l’avevamo lasciata.
Un bacio e una carezza ad ogni figlio.
Paolo è vivo per miracolo. Sono stati in otto a picchiarlo, otto agenti che scortavano lui e gli altri tifosi del Brescia, al termine della partita in casa del Verona. Una partita di serie B da bollino rosso, ma fino a quel punto era andato tutto per il verso giusto. Fino alla stazione Porta Nuova dove i tifosi bresciani avrebbero preso il treno del rientro. Poi, d’improvviso, il caos: le cariche fanno una trentina di feriti tra cui anche delle donne come raccontato da L’Espresso. Paolo rimane ferito ed entra in coma. Si sveglierà 64 giorni dopo. Di lui ho parlato anche in un post precedente.
A luglio è intervenuto ad un dibattito durante i Mondiali Antirazzisti. Poche parole per capire il suo dramma: “Ho visto alcune mie vecchie foto, e sono scoppiato in lacrime come un ragazzino. Ho perso tutti i ricordi della mia adolescenza”.
Dopo l’ennesimo rinvio, venerdì 23 è ripreso il processo ad otto poliziotti del raparto Celere di Bologna accusati di lesioni gravissime, con le aggravanti della violenza di gruppo, dell’uso delle armi e delle sostanze corrosive. Nel capo d’imputazione c’è scritto “Affondamento temporale destro” : gli hanno letteralmente fracassato il cranio.
Paolo Stava salendo sul treno dopo aver mangiato qualcosa in stazione quando è stato preso di mira ed è cominciata la gragnuola di manganellate. Venerdì in aula ha raccontato di essere stato “buttato a terra a pancia in giù e picchiato sulla testa con i manganelli impugnati alla rovescia”. “Vedevo i laccetti – ha aggiunto – e poi i colpi erano violenti. Mi era capitato di prendere qualche manganellata, andando allo stadio capita, anche se io non ho preso parte ai disordini, ma quei colpi erano più secchi, forti e suppongo che fossero più di uno a picchiare perché erano continui. So che una volta finito mi toccai la testa e sembrava un ananas”. Paolo si rialza e riesce a salire sul treno. Il tempo di toccarsi la testa di vedere il sangue e poi il nulla. Gli oltre due mesi di coma gli hanno procurato un invalidità al 100%, un certo grado di menomazione agli arti e difficoltà nel linguaggio.
Stranamente, mancano all’appello dieci minuti di riprese video del circuito di sorveglianza interno alla stazione: proprio i dieci minuti in cui sarebbe avvenuta l’aggressione a Paolo. Un esperto dovrà ora capire se il filmato originale sia stato manomesso ed eventualmente da chi. La prossima udienza è prevista a gennaio 2012.
Gli otto imputati devono rispondere anche dell’aggressione ad altri ventidue tifosi del Brescia. Il processo per i fatti di quel 24 settembre ha subito già numerosi rinvii. Vedremo se si arriverà ad una sentenza e se, come nel caso di Aldro, si riuscirà a superare il muro dei depistaggi e i tentativi di insabbiamento.
In entrambi i casi, tuttavia, la verità giudiziaria non potrà essere in grado di rispondere ad una semplice domanda: perché?