Alemanno peggio di Attila. Ma lui è in buona fede, è solo un po’ così...

Creato il 29 febbraio 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti
28 aprile 2008, una data che i romani non potranno dimenticare. Qualcuno ha proposto di scolpirla su una lapide di marmo da esporre sui Fori Imperiali e di scriverci sotto “Mai più”. Però ha pensato ai milioni di turisti cinesi e giapponesi che l’avrebbero fotografata per portarla in giro per il mondo e ha desistito. Arriva al CampidoglioGianniAlemanno e indossa la fascia tricolore più ambita, quella di sindaco della capitale d’Italia. L’ex “nero per vocazione” sconfigge al ballottaggio uno dei più clamorosi autogol del Pd, Francesco Rutelli. Sono tutti concordi nel dire che se l’alleanza di centrodestra avesse presentato Gatto Silvestro (con Titti candidato vicesindaco) avrebbe vinto lo stesso, perché la scelta del partito più fregno d’Italia di candidare lo stracotto Rutelli era stata praticamente un suicidio politico. Di che pasta è fatto Gianni Alemanno (uno che si chiama Gianni è già di per sé una iattura ma questo non è che un inciso), lo si vede da subito. Con una ordinanza che lascia perplessi anche i gatti di Trastevere, impone ai tassisti di servizio davanti la stazione Termini di aumentare di due euro il costo delle corse, come se tutti coloro che prendono un taxi alla stazione, se ne andassero a zonzo per Roma a fare i turisti. Ancora. Senza emettere ordinanze, all’improvviso i romani scoprono di vivere in una città che si sporca ogni giorno di più. Miracolosamente. Le vie e le piazze che fino a qualche giorno prima brillavano per lucentezza, diventano opache, si riempiono di cartacce e di immondizia come se i cittadini fossero diventati improvvisamente dei perfetti maleducati indossando il fez d’ordinanza. Ancora. Quei maledetti delle Iene scoprono che a Fontana di Trevi opera un vero e proprio racket. Tipacci molto maneschi che la mattina presto entrano nella fontana più famosa del mondo e si fregano le monetine che i turisti, con le spalle voltate, ci buttano dentro per ripetere il rito felliniano della Dolce vita. Il problema è che i vigili assistono alla “ripulitura” della vasca senza dire nulla, senza intervenire, senza proferire parola né fare una multa. Alemanno dichiara che indagherà. Forse. Ancora. Il sindaco prende decisamente in mano il Festival del Cinema e lo consegna al novantenne Gian Luigi Rondi. Via d’imperio i veltroniani e dentro tutti gli ammennicoli della cultura di destra fino al momento in cui, nominato direttore artistico Marco Muller proveniente da Venezia, si accorgono che non c’è più un euro e il Festival più inutile della storia della cinematografia mondiale, rischia finalmente di chiudere i battenti. Ancora. Scoppia parentopoli e fascistopoli. Le fiumane di assunzioni pilotate nelle municipalizzate iniziano infatti a destare qualche sospetto così, un’indagine oggi e una domani, viene fuori che fratelli, mogli, mariti, cognati e cognate, sorelle, cugini e cugine fino al terzo grado di parentela, vicini di casa, compari di battesimo e di cresima e perfino qualche testimone di nozze vengono assunti per chiamata diretta negli enti sub comunali. Ai parenti si aggiungono i camerati e i loro congiunti tanto che Alemanno non viene chiamato più Signor Sindaco ma Eccellenza Podestà. Ancora. Scoppiano tafferugli durante i cortei che protestano contro il Divo Silvio. Roma diventa un campo di battaglia e tutti si accorgono che i sanpietrini vengono fuori come se fossero denti che cadono da gengive malate di piorrea. Le sassaiole si susseguono a ritmo incalzante fino a quando il sindaco, motu proprio, decide di vietare tutte le manifestazioni politiche nella Capitale, compresa quella della CGIL che lo denuncia per divieto illegale al diritto di manifestare. Il tribunale dà ragione al sindacato e accusa il primo cittadino di attentato alla Costituzione. Ancora. Cade la neve. Pochi centimetri. La Protezione Civile ha allertato da giorni il Comune ma Alemanno fa orecchie da mercante. Quando la neve, secondo le previsioni, cade Roma si blocca. Tutta la città va in tilt mentre il sindaco, indossati gli sci da fondo, viene beccato a fare sport a Villa Borghese come se stesse a Roccaraso. Preso atto delle polemiche, delle accuse di inefficienza e prevedendo altre precipitazioni nevose che fa il sindaco? Chiude la città. Scuole e uffici pubblici, strade e piazze, vicoli e giardini. Sono tutti pronti con il sale chimico, gli spazzaneve, le pale, i lanciafiamme e le gomme chiodate e la neve che fa? Non cade. Alemanno resta con la pala in mano e un fottio di quattrini spesi per nulla. Ancora. Roma si candida alle Olimpiadi del 2020. Mette in piedi un comitato di esperti pagato profumatamente e avvia la campagna olimpica. Ma Mario Monti dice: “Accà nisciuno è fesso”. I soldi non ci sono e i sogni olimpici di Roma restano sogni. Resta però il Comitato che continua a essere pagato con i soldi pubblici. A fare cosa non si sa, però resta. Ancora. Alemanno è in crisi di liquidità. Dopo i soldi spesi per l’allarme neve, per i parenti alle municipalizzate, per le consulenze e i comitati inutili, le casse del comune di Roma sono vuote. Và da Mario Monti a battere cassa e il Professore prende tempo perché se la tesoreria del comune non ha un euro, quella dello stato non versa sicuramente in condizioni migliori. Ancora. Due giorni fa scoppia lo scandalo dei vigili urbani infedeli, quelli che prendono mazzette anche per farti passare con il verde. Cinque di loro sono finiti nel registro degli indagati e la procura sta verificando quanto è grande il fenomeno. Alemanno serafico, e appena caduto dal pero, ha dichiarato: “Attendiamo i risultati delle indagini poi vedremo il da farsi”. Dopo Attila, Gianni. Passano i secoli ma a Roma ogni tanto deve arrivare un flagellatore con la precisione di taglio di un coltellino svizzero. Altrimenti che gusto c’è ad essere la Capitale.

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