La poesia di Alessandra Racca nella sua ultima raccolta poetica
La torinese Alessandra Racca con quest’ultima raccolta “Poesie antirughe” (NeoEdizioni, pagg. 134, € 10,00), alla terza edizione, consolida felicemente la sua vocazione poetica. Che è anche quell’intima vocazione a raccontare di sé stessi, soprattutto per chi ha meno pazienza di concedere alla scrittura la forma più estesa richiesta dalla narrativa.
Ecco, nel solco “stretto” del verso, la Racca sembra dirigere ed incanalare meglio la necessità di esprimersi, di raccontare il mondo che l’ha vista protagonista, l’ha solo interessata o ha subito, come più delle volte accade, lasciando segni più o meno profondi dentro. Ma anche fuori, se t’ha offeso o invaso con le sue brutalità, miserie, inganni. Ora, il suo è un microcosmo di autenticità allargato, condiviso e sovrapponibile alla realtà che meglio ha conosciuto, conosce e che vorrebbe (se avesse facoltà chiaroveggenti) conoscere anzitempo. Ci riferiamo alla realtà delle donne. Libro al femminile, dunque. Espressione del femminile. Ironia al femminile.
Parla di sé: del suo corpo e dei suoi sentimenti, delle forze e delle debolezze senza mitigare nulla, senza prudenze o finzioni. C’è insomma interamente se stessa: il suo “ambiente interiore” a cui lascia la porta aperta. Cosicché, a sbirciarci dentro scorgiamo ogni cosa al suo posto, come se la proprietaria fosse partita per un viaggio sapendo che al rientro ritroverà il confortevole ordine raggiunto con tanta fatica, oppure non gradisse che nel ricevere un improvviso visitatore questi vi trovasse un disordine sospetto, delatore di uno stato d’animo ed istigatore d’interrogativi che le resterebbero insopportabili da fronteggiare.
Che dire?, il dentro non può essere merce in esposizione su cui allungare le mani e rigirarsela a piacer proprio. No. Il dentro è sacro. Merita rispetto e non sospetti da cui cavarci possibili errori o errate interpretazioni. Quell’ordine, in definitiva, è un modo per salvaguardare la propria dignità, il pudore dei sentimenti che, pur essendo di largo consumo, vanno protetti e non proposti per possibili lacrimevoli audience. Il riguardo per sé stessa impone questa protezione. Già il corpo ha subito l’impatto del tempo, lasciando visibili evidenze. Come se fatti, brandelli di vita, persone, ricordi si fossero depositati su e tra le pieghe della pelle del viso (e non solo): il più esposto, quello che “assorbe”, quello scavato dal corso del tempo con la forza di un fiume inarrestabile. La stessa dell’acqua e delle lacrime.
Un verso recita: «Non c’è nulla di più potente dell’acqua, sai?». Vero. Verità assoluta. E lei, la poetessa, cerca di farsi acqua. L’acqua, si sa, fa nascere. Dall’acqua si nasce e si rinasce. E le lacrime, che sono pur sempre acqua, a volte rigenerano. Talora si rintraccia un che di “elementare” (nel senso di fanciullesca schiettezza) in certi versi limpidi al limite della trasparenza, della serenità del “racconto segreto” che solo i bimbi sanno svolgere con naturalezza anche quando descrivono o affrontano argomenti più grandi di loro, quanto può esserlo il tema sulla morte.
È sufficiente andare a leggersi la sezione “Certe volte anche i pesci sprofondano”. Ad esempio, la poesia Insulti per le caramelle: «Proseguire con gli alberi:/che non si dimentichino/che sono solo semi ingrassati/con qualche anno di troppo/e qualche foglia in più».
Concludendo: questa ci sembra la “sostanza poetica” di Alessandra Racca. Che è la sua, sì. Ma che si confronta col mondo che la circonda e che osserva, poiché “c’è molto da vedere” e ancora da scoprire e su cui riflettere.