Alessandro Piva: “I milionari? Un gangster drama all’americana”

Creato il 20 ottobre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Ascesa e declino di una famiglia criminale nella Napoli dominata dalle faide camorristiche. E’ il sesto film di Alessandro Piva, il primo tra gli italiani a essere presentato in concorso in questa nona edizione del Festival Internazionale del film di Roma. “I milionari”, liberamente tratto dall’omonimo libro nato dalla collaborazione tra l’autore Giacomo Genuini e il Pm Luigi Cannavale, arriverà nelle nostre sale distribuito da Teodora Film. Questa volta il regista della “Capa Gira” segue attraverso i codici del gangster movie la vita del boss Marcello Cavani, che nelle cronache giudiziarie risponde al nome di  Paolo Di Lauro, capo del clan Di Lauro di Secondigliano. A interpretarlo Francesco Scianna accompagnato da Valentina Lodovini, Carmine Recano, Francesco Di Leva,  Salvatore Striano e Gianfranco Gallo.

Dalla Puglia alla Campania. Come è andata?

Alessandro Piva: Sono nato in Campania e cresciuto in Puglia, fondamentalmente sono e rimango un terrone. Ne ho approfittato per immergermi in una città come Napoli straordinaria da tutti i punti di vista; se non avessimo girato a Napoli il film non sarebbe riuscito così. Raccontiamo una storia a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, periodo di sistematica demolizione di valori e accettazione di tutta una serie di compromessi come la voglia di arricchirsi velocemente travolgendo tutto. A Napoli questo è stato molto più dilaniante ed evidente, ma è un vissuto che appartiene a un intero paese.

Che senso ha scegliere ancora una volta il tema della camorra a Napoli dopo i vari tentativi di affrontarlo da parte sia del cinema sia della televisione?
Alessandro Piva: Non credo che questo film sia uguale agli altri, il tema lo è, ma i tempi del cinema sono diversi da quelli televisivi; abbiamo girato e messo in cantiere questo progetto prima che venisse fuori la serie “Gomorra”. “I milionari” rappresentava per noi una buona occasione per andare in profondità. L’idea di fondo è che la vita criminale nella sua corsa non può che implodere e che l’anima borghese e tranquilla e quella della latitanza continua non possono convivere. Questo motivo era sufficiente a renderlo utile allo spettatore, perché è necessario sconfiggere quel senso di tolleranza della vita criminale diffuso nel nostro paese. È un’analisi sull’ascesa criminale che sfocia poi in un pentimento e ha l’ambizione di guardare certi temi da angolature poco battute. Ci siamo ispirati ai grandi maestri del cinema americano, volevamo realizzare un gangster drama con un’attenzione alla psicologia personaggi.

Sappiamo che ci sono state alcune difficoltà. Come le avete superate?
Alessandro Piva: Purtroppo il cinema italiano è diventato un hobby sempre più costoso, i produttori hanno avuto diversi tipi di problemi durante la lavorazione, abbiamo rischiato più volte che questo film non si facesse ma la ricchezza e il materiale umano a disposizione mi hanno messo davanti a un’unica missione: fare il film e portarlo a casa, uno sforzo che mi è costato tantissima energia.

Valentina, qui al festival interpreti due figure femminili molto diverse.
Valentina Lodovini: Mi piaceva la differenza tra Cinzia di “Buoni a nulla”, una donna molto coatta e buffa,  e Rosaria, la donna di un uomo criminale, ma non una criminale, non una donna boss. Rosaria non gestisce mai il potere, sceglie di non sapere facendosi portatrice di un altro tipo di omertà rispetto a quella di chi sa e non denuncia, ma ugualmente condannabile.

È molto giovane, viene dalla periferia napoletana, ha un percorso che la rende un archetipo femminile, non credo che abbia molte possibilità di scelta. Rosaria, per come l’ho creata io, non aveva questo tipo di programmaticità: alla fine viene travolta da tutto, per un momento crede di poter di essere lei a tenere le redini e condurre il gioco, ma non è così. Questo aspetto e l’idea di una donna rimasta sola con tre figli mi faceva provare quasi tenerezza nei suoi confronti. È da qui che sono partita per costruirla.

Francesco, come giudichi il tuo personaggio?
Francesco Scianna: E’ un personaggio realmente esistito e tuttora in vita; ho tentato più volte di avvicinarlo ma non è stato possibile, per fortuna ho molti amici e colleghi che mi hanno saputo guidare e sostenere nella conoscenza di questo mondo. In Marcello c’è un conflitto di fondo continuo: è attratto dal potere, gli piace, lo eccita ma la sua natura gli dice che è fatto di tutt’altra pasta. È una figura negativa che alla fine non regge, avevo in mente l’immagine di una candela che si scioglie, volevo che al pubblico arrivasse l’angoscia di questo personaggio. Non l’ho mai giudicato se non dopo averlo visto per la prima volta sullo schermo.

 di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net


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