Alessandro tricarico – intervista a chi non ha dimenticato il passato

Creato il 07 febbraio 2011 da Sushit
Cosa più mi ha colpito di Alessandro? Il fatto che in un momento storico di cambiamento, durante la fase finale di migrazione dalla pellicola al digitale, lui rimanga ben saldo alla storica pellicola.

Nelle sue foto quasi riusciamo a sentire il profumo (gli acidi per qualcuno sono profumo di vita.. ad esempio per chi scrive!) degli agenti di sviluppo e fissaggio, la pace che solo alla rossa luce della camera oscura riscono a far passare.. Alessandro si occupa con un amico di gestire una camera oscura a Bologna, dove tiene corsi di sviluppo e molte altre iniziative..

Abbiamo fatto qualche domanda ad Alessandro, andiamo a conoscerlo tra una foto e l’altra!

Qui il suo flickr

Qui invece la sua galleria pubblicata da LaRepubblica

Cosa significa per te la parola “reportage” e cosa deve avere per esser tale?

Secondo me un reportage, per essere tale, deve rasentare quanto più possibile l’oggettività. È quasi impossibile essere oggettivi in certi momenti, pur non volendo ci si schiera per motivi che spesso lì per lì ignoriamo, ma che ci appaiono chiarissimi solo a lavoro concluso.
Fare un reportage è una grandissima responsabilità verso il lettore, il fotoreporter è colui che “presta” gli occhi a chi non li ha, a chi per un motivo o per un altro non si recherà mai in quel posto, e che grazie a queste foto prenderà coscienza di un luogo in una determinata situazione.
Il fotoreporter è chiamato a testimone di un evento che spesso influenzerà le masse e aiuterà a formare l’opinione comune che verrà “costruita” in base all’informazione ottenuta.
E se adempiendo ad un compito così delicato, c’è chi riesce anche ad infilarci arte e poesia nelle foto…bè quello secondo me è davvero il massimo.

Cosa vedi dell’Italia ogni volta che torni da un viaggio (politica esclusa)?

Politica eslcusa?!
Allora penso che tutto sommato c’è brava gente..

Reportage nel cassetto?

Poter tornare nel mio vecchio liceo il giorno dei colloqui scolastici per cogliere le occhiate di merito o insoddisfazione dei genitori.

In un’ era digitale fai parte di un gruppo di puristi della pellicola, cosa ti tiene così legato al passato?

Niente e tutto. Ho iniziato a scattare in pellicola e per il momento non ho nessuna necessità di passare al digitale. Nella fotografia analogica, oltre alla ottima resa del b/n, ci vedo un pizzico di poesia: scattare ed aspettare di sviluppare un rullino è un’emozione della quale non mi priverei mai nella vita. E poi, come si dice, “quando la fotografia aveva anche un’odore..

Un’emozione legata alla camera oscura?

Ce ne sono di nuove ogni volta che ci metto piede..ma la più bella in assoluto, anche se scontata, è il veder apparire l’immagine da un foglio bianco man mano che culli la bacinella con l’acido rivelatore.

Descrivimi la tua area di lavoro, la tua scrivania, il tuo angolo di ripostiglio per le macchine

Le mie macchine sono nella libreria in salotto e i rullini sono in frigo affianco la maionese. La mia scrivania era bianca (ormai ricoperta di scritte di ogni tipo e appunti presi al volo), ci sono forbici, pezzetti di negativo sparsi ovunque e peli di gatto. L’albero della vita di klimt dietro il pc ed almeno un centinaio di foto in b/n attaccate al muro.

Un suggerimento per un giovanissimo?

Non chiedere mai consigli a nessuno, soprattutto a chi si dice fotografo.


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