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alessia e michela orlando: IL VICEREGNO SPAGNOLO DI NAPOLI NELL'OMONIMO LIBRO DI PIER LUIGI ROVITO

Creato il 15 agosto 2010 da Gurufranc

alessia e michela orlando: IL VICEREGNO SPAGNOLO DI NAPOLI NELL'OMONIMO LIBRO DI PIER LUIGI ROVITO

IL VICEREGNO SPAGNOLO DI NAPOLI

(ORDINAMENTO, ISTITUZIONI, CULTURE DI GOVERNO)

Nel bellissimo omonimo libro di PIER LUIGI ROVITO


ARTE TIPOGRAFICA NAPOLI 2003


Un libro da salvare.

Lo segnaliamo immediatamente, per dire sin da subito della bellezza dell'oggetto libro e dell'approccio altissimo, dispiegato da un Autore che mostra appieno la sua infinita valenza di storico (come leggiamo nella quarta di copertina: è docente di Storia del Diritto Italiano e di Storia delle Istituzioni Politiche nell'Università di Salerno). 

Difficile dare conto di 510 pagine, ma non possiamo limitarci a un apodittico: da salvare, da spedire nell'Universo.

Immaginiamo che nessuno lo andrebbe a cercare sulla fiducia.

E allora via, proviamoci.

Ritornando alla quarta di copertina: Non soltanto date, matrimoni battaglie, trattati e via dicendo. Quella che si propone è una Napoli inconsueta, scrutata attraverso le sue strutture istituzionali, gli ordinamenti, i protagonisti, le contorsioni della politica. In questa dimensione sono esaminati gli eventi (soprattutto la Rivoluzione del 1647 e la pestilenza del 1656), che caratterizzarono il Mezzogiorno in un'età complessa e ricca di radici.

E Pier Luigi Rovito si inerpica subito su pareti scoscese alla ricerca di radici ramificate. Senza alcun preambolo si va immediatamente al dunque:

CAPITOLO I

DALLE "ARMA" AGLI "IURA": PROFILI DI UN MUTAMENTO

  1. Una "razza padrona"  per lo Stato moderno.

Giova a poco –e meno che mai alla comprensione di vicende complesse – una storiografia che assuma a modello antiche «Descrittioni» naturalistiche. Quelle – per intenderci – vergate dalla penna (ovviamente d'oca) di un personaggio che, nobilmente assiso sulla sponda di un fiume, ne rappresentava il letto, le rapide e gli impaludamenti, senza mai chiedersi da dove quel corso d'acqua giungesse o perché certi fenomeni si verifcassero. Curiosità e propensione al disagio non appartenevano alla struttura mentale del nostro immaginario sapiente. Fabula de te narratur?...Non sempre gli storici hanno tenuto conto della necessità, pur ovvia, di collocare l'indagine "a monte" dell'effettività ordinamentale; né si è saputo cogliere i nessi tra passato e presente in funzione di precise interazioni e scansioni spazio-temporali. La risultante è stata quella di una storiografia asettica nei suoi presupposti e, sovente, incongrua rispetto ad esperienze e culture sempre più incandescenti e straboccanti dagli antichi alvei.  

L'Autore spiegherà immediatamente come si tratti di una critica che colpisce, stigmatizza, la inerzia metodologica.

Lui non cade in questa inerzia in neppure un attimo, neanche nel rilevare un elemento marginale della vicenda di cui ha deciso di occuparsi, giacché molto trattato. Potremmo fare mille esempi. Uno basta: dimostra come possa essere difficile e complessa la ricerca delle radici di cui si diceva. Affronta gli albori d'una nobiltà "altra" che, seppure fosse nota alla riflessione giuridica, va individuato nella prima metà del XIV secolo, che è già un coacervo che risente di mille origini. Evidenzia come sul problema avessero già disputato Dante e Bartolo da Sassoferrato. Dal più celebre dei giuristi medioevale prende le mosse, anche per evidenziare il filo rosso che, sul problema, lega l'esegesi dei dottori medioevali a quella dei moderni.

Con poco più di due pagine ci mette a disposizione elementi per comprendere tutto e finalmente capire quanto il suo metodo possa essere valido.

Il libro finisce con due immagini: in una è ritratta la "profetessa" ORSOLA BENINCASA; nell'altra, l'ultima del libro, possiamo conoscere il volto dello scienziato MARC'AURELIO SEVERINO, che Pier Luigi Rovito indica come i due volti della GRANDE PESTE.

Poco prima, nelle ultime righe del testo, analizzato il rapporto tra Donato Antonio De Marinis (giurista cilentano) e Francesco D'Andrea (giurista, filosofo e politico nato a Ravello), ci parla di goffe malevolenze, di una battaglia di retroguardia che prelude alla "questione meridionale".

 

La foto. Vediamo CARLO V, attribuito a Tiziano; di recente a Lambert Sustris, pittore fiammingo, di Amsterdam, che lavorò tra Padova e Venezia, ma anche alla Domus Aurea.

La didascalia al quadro, che si può vedere insieme ad altre immagini tra le pagine 270-271, è:

Al figlio che gli chiedeva consiglio su come comportarsi con la nobiltà, Carlo V non rispose. Ma impugnata una cesoia si recò nel giardino e "prese a recidere le herbe più alte, riducendole ad equalità".



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