L'OBBEDIENZA
LA FINE DIROBERTO BRACCO NEL SILENZIO: UN IRRISOLVIBILE MISTERO NAPOLETANO
Cosa portò con se nella tomba?
Quando può bastare una sforbiciata storta per mutare la traiettoria di una vita
STORIA DELLA CANZONE NAPOLETANA
I primi canti popolari, le antiche villanelle, le melodie
celebri in tutto il mondo e il sound di oggi rivissuti attraverso i loro autori e i loro interpreti, protagonisti irripetibili
delle vicende liete e tristi, incredibili ma vere,
di una città che è essa stessa la musica
Vittorio Paliotti
NEWTON & COMPTON EDITORI
UN LIBRO DA SALVARE
LA PREFAZIONE
Un sano discorso sulla canzone napoletana non può che partire dal rapporto fra ciò che essa ha rappresentato e ciò che attualmente essa rappresenta.
È una dichiarazione di intenti che il libro intero affronta e analizza con scientificità. È una scoperta continua di aneddoti, fatti, intuizioni. Una incessante spinta verso l'amore per una forma d'arte straordinaria.
Il titolo del primo paragrafo è di fulminate bellezza, di quelli che ti lasciano addosso sensazioni forti, da Sindrome di Stendhal: AL PRINCIPIO FU IL SOLE.
È un libro su cui PAGINA AUTORI dovrà ritornare, magari a puntate. Si inizia dalla storia di un personaggio, Roberto Bracco (ci è narrata da pagina 87 a pagina 94), che non conoscevamo e ci chiediamo perché mai nessuno ne parli. È un mistero tutto napoletano, di certo, ma è anche mistero italiano ed europeo. Verifichiamolo.
Nell'aprile 1906 il Vesuvio eruttò.
Erano gli anni di Funiculì Funiculà scritta da Peppino Turco, e portata al successo in tempi rapidissimi.
Roberto Bracco, ottenuto l'appoggio di un buon numero di giornalisti napoletani, ideò una burlesca spedizione sull'agitato Vesuvio. Successe la fine del mondo: la funicolare fu distrutta; la missione si arrestò a Ottaviano e Bracco non riuscì a recuperare neanche l'ombra di un accessorio della funicolare. Non fu un dramma: fu ricostruita e la canzone ritornò al successo. Bracco, toccato dal sospetto che fosse rancoroso nei confronti di Turco, in realtà gli fu riconoscente.
L'ANTEFATTO
Peppino Turco era un giornalista. La botta di fama per Funiculi Funiculà aveva messo a rumore l'ambiente: il rivale Martino Cafiero era stato indotto a recuperare terreno sul piano della immagine e della fama organizzando una gara "piedigrottesca". Nel 1882 aveva istigato Di Giacomo a scrivere una canzone. Nacque così Nannì. Anche in questo caso la ragione era: escogitare un successo che fosse capace di rispondere a quello di Funiculì Funiculà.
Roberto Bracco, dunque, era chiamato a svolgere un ruolo simile. Anch'egli era redattore del Corriere del Mattino e nello stesso anno, 1882, gli giunge una convocazione del Direttore. Si può immaginare la scena in termine del genere: Bello uagliò: cca nisciuno è fess'! Mo piglia penna e carta e scrivi.
Naturalmente la frase, da noi inventata è depistante: non voleva fosse scritto un articolo, bensì una canzone. Roberto Bracco, per essere in sintonia del titolo di questo articolo, simise sull'attenti e rispose: Signorsì!
Qualche tempo dopo vide la luce Salamelic, canzone divenuta celebre.
L'ambientazione: tutto accade nel periodo dello sbarco dei reduci dall'Egitto. Uscita per la Ricordi, fu muiscata da Luigi Caracciolo (1847-18879, allievo del Mercadante: l'aveva diretto a Dublino.
IL TESTO
Da l'Egitto so' turnato
Stracquo, strutto e sfrantummato
Cu' 'na faccia assaje cchiù nera
De na' cappa 'e cimminiera.
Rossa, 'ncapo, 'na sciascina,
comm'a turco de la Cina…
Io me paro 'nu pascià,
Ma nun tengo che mangià
La prima esecuzione fu nell'ambito della festa di Piedigrotta del 1882. Gli esecutori: i cronisti di Corriere del Mattino. Il luogo: i balconi della redazione in largo Carità. Fu subito un successo: si unirono al coro anche la folla che di lì a poco portò in trionfo gli autori fino a piazza del Plebiscito.
Per obbedienza al direttore Bracco scrisse anche una novella. Per la stessa ragione, l'obbedienza, divenne anche commediografo: frequentava i camerini del teatro Sannazzaro per affari di cuore. Il direttore, Ermete Novelli, di fronte a una sua improvvisa defezione, si preoccupò, ben più dell'attrice destinataria della sua corte. Cosa era successo? Perché? Nulla di più banale: una mattina Bracco, nel radersi, si era tagliato una grossa parte dei baffi. Soluzione: non uscire più di casa sino a ricrescita avvenuta. Novelli andò a trovarlo e: Scusa, ma pecchè nu scrivi 'na cummeddia?
Obbedì e così nacque l'atto unico Non fare ad altri. Novelli lo rappresentò il 22 dicembre 1886.
Ma Bracco era ormai lanciato anche nel mondo della canzone e nacque: Cumme te voglio amà che Vincenzo Valente musicò:
Cumme te voglio amà, muss' 'e cerasa
Si me te viene a fa 'mmocca 'na casa!
Te voglio muzzecà…lo muorzo trase;
E assaje cchiù sfizio dà de ciento vase;
Ma si lu muorzo po' te fa dulore,
'Nu vaso te lo do, senza rumore.
E cu vasille tiennere
Musso 'e cerasa mia,
De maggio comm' 'a rosa
L'ammore nasciarrà
Si manca quacche cosa
Neh, chesto po' fa?...
'Sta cosa ce 'a mett'io…
Cumme te voglio amà!...
In questa fase la creatività di Bracco è alle stelle: fa rappresentare Lui lei lui; poi tocca a Un'avventura di viaggio; segue una specie di fiaba in un atto: Le disilluse e, a tambur battente, i quattro atti di Una donna. Nel 1889 dimostra a tutti la stima e la disponibilità per Peppino Turco: scrivono insieme Tarantì tarantella, che Mario Costa musicò. Ma è il teatro, ormai, ad attirare il meglio della sua fantasia. Scrive: Maschere e Infedele, portate in scena nel biennio 1892-1894. in questo ultimo anno trova il successo anche con la canzone Africanella: è una allegra marcetta adottata dagli studenti in lotta per una Italia più grande. È anche in evidente collegamento con la battaglia condotta da Crispi per la conquista della Eritrea ed è antesignana di Faccetta nera:
Io tengo 'na medaglia
Ch'avette p' 'a battaglia
E tengo 'na bannera
Cu 'na faccella nera.
Africanella, over'è:
L'Italia resta in Africa,
Ru rieste 'mpietto a me!
La sua era ormai una fama di stampo europeo e la firma utilizzata per gli articoli, Baby,attraeva critica e appassionati.
Dalla sua penna uscivano sempre nuovi drammi: Il trionfo, Don Pietro Caruso, La fine di un amore, Fiori d'arancio, Tragedie dell'anima, Il diritto di vivere, Uno degli onesti. Gli albori del nuovo secolo, nel 1901, tocca a Sperduti nel buio. A seguire, incessantemente: Maternità; La piccola fronte; Notte di neve; I fantasmi; Nellina.
È richiestissimo nei salotti, ma patisce una solitudine sentimentale atroce. Decide di sposarsi a 53 anni, nel 1914. individua in un collegio femminile napoletano la giovane laura De Vecchi: recita un suo monologo per ragazzi pubblicatogli molti anni prima dal Giornalino della domenica Vamba: La chiacchierina. Succede un mezzo scandalo: la ragazza si incapriccia e, per nulla spaventata dai suoi capelli bianchi, la sera stessa fugge con lui.
La vena artistica di Bracco non si esaurisce con la raggiunta pace sentimentale; produce ancora. Si segnala, precedente all'amore conquistato: la raccolta di poesie e canzoni napoletane Vecchi versetti; 'Nu passariello sperzo, musicata da De Leva, una delle migliori canzoni di genere patetico.
È la storia di un uccello vagabondo che trova rifugio in una foresta. È scacciato da una coppia che fa l'amore. Si riposa su un campanile e si spaventa per la gioia di una giovane che sta per sposarsi:
All'urdem'ora, po', 'na capannella
Zitta e sulagna, 'o passero truvaje:
Nce stava, morta già, 'na vicchiarella
Ch'era campata senza ammore e guaje.
E 'ncoppa a 'sta capanna accujetata,
'O passero restaje tutt''a nuttata.
Venne anche il turno di Ad armi corte e di Perfetto amore. Nel 1914 si afferma il dramma molto significativo: Piccolo santo.
Sono, oramai, gli anni della guerra. Si rivolge verso una produzione di tipo umanitario: L'internazionale; L'amante lontano; Ll'uocchie cunzacrate; La principessa.
Inaspettatamente nel 1917 irrompe di nuovo nella canzone napoletana. È la festa di Piedigrotta. Napoli è una festa di coriandoli e trombette. Ma i soldati al fronte che faranno? Ecco, così nasce: Sentinella. Viene musicata da Ernesto De Curtis per edizioni La Canzonetta:
Nutata 'e Piedigrotta! Tutte dormeno
Ncoppa a 'sta cimma 'e monte cunquistato,
E i' faccio 'a sentinella e sto scetato.
E vuje, pajsane mieje, che state a Napule,
Chesta nuttata, vuje, cumme 'a passate?
Nce jate a Piedegrotta o nun ce jate?
Ce sta chi 'na canzone cantarrà?
Vurria che 'nu signale
Facisseve 'a Pusilleco
Pe' me putè 'nfurmà.
E 'n'ato: tale e quale,
Pe' dirve: «ve ringrazio»
I' ne facesse 'a ccà.
Nel 1924 ritorna l'atteggiamento mentale prevalente di Bracco: è chiamato alla obbedienza.
Stavolta gli giunge la voce di Giovanni Amendola. Non si è mai occupato di politica, e deve aderire a una lista di opposizione.
Così come per obbedienza fu: giornalista, poeta, novelliere, romanziere, commediografo, diventa deputato. Dopo il delitto Matteotti partecipò all'Aventino. La sua casa fu devastata molte volte; apprezzato da Mussolini, paradossalmente fu attaccato dal giornale diretto da Giovanni Amendola. Non aderì al fascismo; si chiuse in un insuperabile isolamento. Per l'intervento di Emma Gramatica, nel 1929, viene messo in scena il suo I pazzi. Ha gran successo a Napoli; fischiato a Roma. Il teatro adesso vede l'irruzione di Pirandello; lui è superato. Malgrado sia evidentemente un pacifico artista, è pressato dalla polizia. Il suo silenzio avrebbe meritato un altro trattamento: dopo la fine del fascismo nessuno tentò di recuperarne la figura davvero straordinaria. Non si è mai saputo il perché.
Nella tomba decise di portare: una immagine della madonna di Pompei; un ritratto della madre; una ciocca di capelli della moglie.
Per noi la fine dell'artista poliedrico che Bracco davvero fu, resta ancora un mistero. È uno dei misteri napoletani ormai irrisolvibili.
Foto: Roberto Bracco, in una foto, diversa da quella che compare nel libro STORIA DELLA CANZONE NAPOLETANA, ma con il medesimo baffo in bella vista.