alessia e michela orlando: NAPOLI-TRIESTE: I GRANDI VINI

Da Gurufranc

GRANDI VINI CAMPANI A TRIESTE

Quando varcammo la soglia di La bottega di Trimalcione (http://www.trimalcione.ts.it), a Trieste non c'era la bora, bensì un sole che spaccava le pietre. Ci eravamo allontanate dal Molo del Bersagliere quasi di corsa, ridacchiando giacché era saltato agli occhi il tariffario di un parrucchiere: praticava riduzioni di prezzo per i transessuali. La ragione non era connessa alla questione legata alla identità sessuale, ma alla fantasia del titolare. Ci pareva tutta napoletana.

Il ristorante si presentava lindo e Walter Zacchini, lo chef, si mostrava affabile e pronto a spiegare i segreti della sua cucina.

Era ancora abbastanza presto e ci aveva battuto solo un altro avventore, giunto alla scelta del vino: una bottiglia di Feudi di san Gregorio, azienda notoriamente campana. Notammo che si trattava di un vino rosso, malgrado mangiasse pesce. Egli stesso spiegò che non era una eresia.

Tra noi, a bassa voce, mettemmo meglio a fuoco la figura di Trimalcione, lo schiavo arricchito e privo di buon gusto, quello raccontato, ma l'attribuzione è incerta, da Petronio nel Satyricon:

Eravamo in mezzo a queste delizie, quand'ecco che Trimalcione in persona venne portato all'interno con accompagnamento musicale, e venne deposto su cuscinetti imbottiti mignon, suscitando il riso in noi imprudenti. Solo la testa pelata, infatti, gli sbucava dal mantello scarlatto, ed attorno al collo infagottato dal vestito aveva infilato un tovagliolo dal largo orlo rosso con frange che pendevano di qua e di là. Portava anche al mignolo della mano sinistra un grande anello dorato, e all'estremità della falange del dito successivo uno più piccolo – per come mi sembrava – tutto d'oro, ma incrostato da stelle di ferro. E per non mettere in mostra solo queste ricchezze si scoprì il braccio destro, che era ornato da un bracciale d'oro e da un cerchi d'avorio unito ad una laminetta splendente. Appena ebbe finito di pulirsi i denti con uno stuzzicadenti d'argento, esclamò: "amici, non avevo ancora deciso di venire nel triclinio, ma per non farvi aspettare troppo con la mia assenza, mi sono negato ogni piacere. Mi permetterete tuttavia di finire questa partita". Lo seguiva uno schiavetto con una tavola di terebinto e tessere di cristallo, e notai il particolare in assoluto più raffinato: infatti al posto delle pedine bianche e nere utilizzava monete d'oro e d'argento. (Sat.32)

Tempo dopo affrontammo il tema del vino e ci chiedemmo come mai quell'avventore non avesse scelto, a esempio, un Refosco dal peduncolo rosso che è tipico del Carso; oppure un grande vino piemontese, o toscano, o friulano, o siciliano, o pugliese,  o sardo, o, magari, francese.

Ci parve di trovare una risposta nella classifica stesa da Del Tufo, nel Cinquecento:

Venemo al vino poi che d'ogni sorte

Ne stan sino alle porte,

i collari ad ognor tutti ripieni

per rassettar lo stomaco e le rene.

Or statime a sentire,

e prima del più bello

greco di Somma, lacrima e circello,

guarnaccia e muscatello,

buon fiano e rovello,

centola, asprinio, et in ogni osteria

cerella e malvasia,

poi per tutta la terra

aglianico, verdesco e mangiaguerra

con quel che ne berria quasi ogni pecchia

detto il vin d'un orecchia.

Altri com'un corallo

Senza il sovigno al buon coda cavallo

Lasciando agl'arteggiani

Quei di Sorrento, detti mazzacani.

Ma il vin di Vico, o quei di Posillipo,

ne potria bere il papa e re Filippo

e come il grido e la gran fama vola

l'asprino e il buon verdonico di Nola.

Onde a digiun, solo un bicchiere di greco

Apreria gl'occhi a un cieco.

Illustrazione: banchetto con orgia romana; fotogramma di Il segno della croce, 1932, di C.De Mille.



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