NEL VENTRE
PAROLE CUORE VITA PATOLOGIE
IL VENTRE DI NAPOLI-MATILDE SERAO
di Alessia e Michela Orlando. Da "perversione" a "parafilia". Tutto in un corpo solo: è la nostra Napoli
In vari luoghi di NAPOLI MISTERIOSA lo si dice. È emerso come in Italia vi sia una idea, una teoria, che dà per scontato il peso delle parole: strumento, codice, veicolo, sintesi, talvolta tedioso e indolente specchio della voglia di blaterare senza dire nulla. Piovene, lo si è visto, nel suo VIAGGIO IN ITALIA scende profondamente nei luoghi fisici e culturali che visita e ne narra anche le perversioni, l'inusuale. Qui e lì anche chi si limita a raccogliere qualche pensiero e metterlo sulla carta o sulla pagina virtuale, prima o poi affronta il tema del significato dell'insieme, delle lettere che mai casualmente si accorpano e disegnano i termini in maniera più o meno stabile; i dizionari, poi, li raccolgano, li spiegano. E vi è chi se ne occupa professionalmente raccontandoci il significato della radice, del tema, le implicazioni storiche, il loro viaggio, le mutazioni grafiche e di senso. Pare di assistere alla mutazione genetica, che richiede più o meno tempo. E allora scopri come ci siano termini antichi, che via via hanno assunto sempre più splendore, nulla di più, nulla di meno, del carbonio che diventa brillante e prima o poi degenera ritornando vile materia e infine solo energia. Accade anche all'uomo e si celebrano i funerali, le ricorrenze. Poi lo si dimentica. È il destino di certe parole. È emerso, ad esempio, del termine carciofo la sua origine araba (citazione inevitabile; accade nell'articolo che si può leggere qui: http://napolimisteriosa-autori.blogspot.com/2010/08/alessia-e-michela-orlando-magia.html); ne abbiamo riportato una descrizione colta e suggestiva, raccogliendo tracce concrete:
Figlia dell'acqua e della terra, la sua abbondanza si offre
a chi la sospetta chiusa in un castello di avarizia.
Sembra, per il suo biancore e per l'inaccessibile rifugio,
una vergine greca nascosta in un velo di spade.
Si tratta di un ortaggio, del carciofo, il cui nome deriva dall'arabo kharshuf, cui il poeta arabo Ben-al-Tolla dedicò i suggestivi versi. Invitiamo a impararli a memoria…Non è cosa rara imbattersi in termini di origine araba. A Napoli sarebbe strano non fosse così: è una sola città, ma contiene mille e uno Universi, infinite anime. Tutto è in un solo corpo visibile. Quando cade in disuso un termine dalle origini antiche nessuno ne fa un dramma. Accade. Se ne prende atto. Si affermano e usano altri termini. Senza patemi. Si comunica in ogni caso. E va bene così. Va bene anche se si afferma sempre più, in ogni settore, il linguaggio cosiddetto tecnico. Ciò non toglie si possa fare qualche operazione di recupero, senza essere nostalgici. È recupero di sensi, di significati, di riferimenti antropologici, sociologici. È recupero di cultura. Oltretutto, ci sono parole che da sole motivano l'esistenza di un libro. Accade anche nelle varie forme dell'arte, nei suoi vari volti. Quanti quadri sono famosi per un solo elemento, per un particolare? Chi non ha parlato o non ne ha sentito farlo, ad esempio, del sorriso della Gioconda? E quanti sono i film di cui si ricorda solo di una immagine, di quel fotogramma senza il quale il film non sarebbe stato mai visto? Chi non ricorda la gonna di Marilyn Monroe alzata dal vento senza sapere di quale film sia l'immagine determinante? Noi abbiamo quasi sempre voglia di saperne di più ed è un gioco costante quello di anagrammare, leggere le parole all'incontrario e cogliere i cosiddetti lapsus freudiani che svelano retroscena nascosti nel cervello di chi le pronuncia. Abbiamo sentito dire ad Antonio di Pietro: Italia dei Lavori davanti lo sguardo di Corradino Mineo. Qualche minuto dopo l'ex P.M. ha parlato del problema centrale: il lavoro. Aveva già anticipato il tema con quel suo anagramma inconsapevole. E ci sono termini in cui ci si imbatte senza avere più il tempo di analizzarli. O senza avere interesse a fare. Abbiamo voluto rileggere IL VENTRE DI NAPOLI, Matilde Serao, in una versione diversa da quella letta sette o otto anni fa. E ci siamo imbattute in quella di Adriano Gallina Editore, con la prefazione e le note di Gianni Infusino. Abbiamo trovato molto interessante la sua prima constatazione: Le fortune di questo libro sono, purtroppo, legate al le sfortune della città di cui tratta. In cento anni si è riproposto diverse volte, non tanto per la crudezza del linguaggio e per la sofferta partecipazione che ne attraversa le pagine, quanto per le sconcertanti verità che ha sempre dimostrato di contenere. A chi capitasse di leggere questo straordinario spaccato di Napoli, legga e presti attenzione anche alle note. Ci hanno affascinato. Ne facciamo un esempio, riportandola integralmente. È la nota n. 24, quella relativa al termine, ormai quasi in disuso, FONDACI:
Come etimologia fondaco deriva dall'arabo «funduk». Lo Zingarelli indica per fondaco «bottega dove si vendono tessuti al minuto». Una più attenta ricerca permette però di dare alla parola una spiegazione più ampia. Riporto dal Lessico Universale Italiano: - Ist. Enc. It., vol. VIII, pag. 104, a proposito di fondaco: «Termine con cui sono comunemente designati quegli edifici o complessi di edifici ove, nel Medioevo e nei secoli successivi, i mercanti forestieri per concessione dell'autorità del luogo depositavano le loro merci, esercitavano i loro traffici e spesso anche dimoravano». Siamo già più vicini al significato che la Serao intende dare al vocabolo e del resto lo stesso Lessico Universale Italiano, aggiunge: «Il nome è attribuito anche a certi locali terranei usati come abitazioni poverissime». Salvatore Di Giacomo ha descritto un «fondaco» napoletano in un sonetto famoso che qui riporto integralmente: «Chist'è 'o funneco verde abbascio puorto, / addò se dice ca vonno allargà: / e allargassero, sì, nun hanno tuorto, / ca ccà nun se po manco risciatà!
Dint'a stu vico ntruppecuso es tuorto / manco lu sole se ce po' mpezzà, / e addimannate: uno sulo c'è remasto / pe lu culera de duie anne fa!
Ma sta desgrazzia – sì, pe nu mumento, / vuie ce trasite – nun ve pare overa: / so muorte vinte? Ne so nate cineto.
E sta gente nzevata e strellazzera / cresce sempe, e mo so mille e treciento. / nun è nu vico. È na scarrafunera».
E Matilde Serao, nel suo straordinario incipit, confermando e integrando la poetica di Di Giacomo, con parole che certamente Piovene aveva letto e rievocatonel parlare dei bassi della zona di via San Gregorio Armeno:
Eppure la gente che vi abita in questi quattro quartieri popolari, senz'aria, senza luce, senza igiene, disguazzando nei ruscelli, neri, scavalcando momti d'immondizie, respirando miasmi e bevendo un'acqua corrotta, non è cupa nel vizio, non è collerica nella sventura. Questo popolo, per sua naturale gentilezza, ama le case bianche e le colline: onde il giorno di Ognissanti quando, da Napoli, tutta la gente buona porta corone ai morti, sul colle di Poggioreale, in quel cimitero pieno di fiori, di uccelli, di profumi, di marmi, vi è chi l'ha intesa gentilmente esclamare: o Gesù, vurria murì, pe sta ccà!
Questo popolo ama i colori allegri, esso che adorna di nappe e nappine i cavalli dei carri, che si adorna di pennacchietti multicolori nei giorni di festa, che porta i fazzoletti scarlatti al collo, che mette un pomodoro sopra un sacco di farina, per ottenere un effetto pittorico e che ha creato un monumento di ottoni scintillanti, di legni dipinti, di limoni fragranti, di bicchieri e di bottiglie, un monumento che è una festa degli occhi: il banco dell'acquaiuolo.
Questo popolo che ama la musica e la fa, che canta così amorosamente e così malinconicamente, tanto che le sue canzoni dànno uno struggimento al core e sono la più invincibile nostalgia per colui che è lontano, ha una sentimentalità espansiva, che si diffonde nell'armonia musicale.
Non è dunque una razza di animali, che si compiace del suo fango; non è dunque una razza inferiore che presceglie l'orrido fra il brutto e cerca volenterosa il sudiciume; non si merita la sorte che le cose gl'impongono; saprebbe apprezzare la civiltà, visto che quella pochina elargitagli, se l'ha subito assimilata; meriterebbe di esser felice.