Alexandra bacchetta : interpellanza parlamentare
Creato il 30 aprile 2012 da BiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiBELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in seguito ad una serie di articoli pubblicati sulla stampa quotidiana della città di Varese, si è venuti a conoscenza di un'azione nonviolenta intrapresa da una piccola imprenditrice la quale a causa di un impossibile dialogo con gli amministratori locali, si è decisa a ciò. La notizia è stata resa nota al pubblico nazionale perché programmi televisivi nazionali hanno esteso la conoscenza del fatto e Radio radicale ha intervistato l'imprenditrice stessa, chiedendo ragioni ed obiettivi della iniziativa nonviolenta in corso;
l'imprenditrice ha deciso di iniziare lo sciopero della fame dal 26 di marzo per «vedere se a Varese bisogna morire per far valere i propri diritti»;
a firmare il coraggioso annuncio è Anne-Alexandra Bacchetta. Tutto nasce da una calamità naturale le cui conseguenze non sono state governate dagli amministratori locali e statali; l'iniziativa nonviolenta per il rispetto dello Stato di diritto è iniziata il 26 marzo 2012, giorno dal quale è entrata in sciopero della fame per far conoscere la situazione che l'ha vista, suo malgrado, protagonista, a causa del mancato arrivo dei fondi relativi al risarcimento dei danni causati dall'alluvione del 15 luglio 2009. L'imprenditrice fidandosi delle rassicurazioni, sia private che pubbliche, ricevute da rappresentanti istituzionali ha investito, per riparare i danni arrecati alla sua attività, 1 milione di euro, senza che ad oggi abbia ricevuto alcun rimborso; l'imprenditrice gestiva il Relais Ca' dei Santi prima che il nubifragio del 15 luglio 2009 glielo distruggesse. Allora, spiega la donna, «il muro di cinta della Villa Toepliz (di proprietà comunale) è crollato proprio di fronte al dirupo dei Molini Grassi, riversando con una forza impetuosa tonnellate d'acqua e detriti sulla collina sottostante che, disboscata un anno prima, non ha retto ed è crollata anch'essa riversandosi nell'Olona. Un'onda d'urto di fango e detriti ci ha colpito, distruggendo tutto in tre minuti. La nostra attività, una chicca per l'hotellerie varesina, è stata completamente inondata fino ad un metro e mezzo di altezza in ogni locale. Poi siamo stati abbandonati a noi stessi e nemmeno la protezione civile è venuta a darci una mano. L'Aspem ci ha addirittura presentato bollette da infarto per l'acqua che abbiamo utilizzato nello smaltimento del fango! Poi tante promesse, direttamente dal Ministero. E dopo tante promesse il silenzio. E in seguito alle nostre richieste solo tante prese in giro. Nessuno ci ha risarcito. Di fronte a questa vergogna che è inaccettabile, ho deciso di iniziare lo sciopero della fame»;
la calamità naturale ha colpito l'attività imprenditoriale in una fase particolarmente delicata, quello dello start up, poiché al tempo della distruzione dell'albergo l'attività, già ben avviata, era iniziata da poco più di venti mesi. Nonostante la calamità naturale, l'attività è rimasta ferma solo quattro mesi, senza che siano stati licenziati i dieci dipendenti, pagando quindi regolarmente imposte, tasse e contributi senza che l'attività potesse funzionare. Tutti i soggetti dell'impresa hanno partecipato alla bonifica dei locali, realizzata solo con le proprie forze. Nessun aiuto dalle autorità pubbliche, nessun intervento della protezione civile. Per questo motivo è stata venduta la casa di proprietà, per non chiudere i battenti e per mantenere il personale in forze, necessario alla bonifica dell'albergo. La donna autofinanziò integralmente i lavori di bonifica e il ripristino dell'attività;
nel frattempo dal Ministero dall'interno erano giunte rassicurazioni e anche il sindaco aveva pubblicamente dichiarato nel corso di una conferenza stampa, nel dicembre del 2009, che il Governo avesse predisposto lo stanziamento di fondi per il risarcimento dei danni nella cosiddetta legge finanziaria. Lo stanziamento per il rimborso dell'alluvione era stabilito in una cifra pari a 300 milioni di euro complessivi, di cui 42 stanziati a beneficio dei danneggiati di Varese;
c'è poi stata una successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 maggio 2010, la n. 3878, con la quale si stanziava un acconto per chi gestiva attività produttive ed aveva subito dei danni. Giunse l'avviso comunale per il riparto di un parziale risarcimento subito dalle imprese e furono compilate le richieste burocratiche (segnalazione dei danni alle attività produttive) per il risarcimento. L'acconto era stabilito in un massimo di 39.000 euro, di cui 9.000 per l'acquisto dei macchinari di prima urgenza;
visti i ritardi nell'erogare i risarcimenti da parte dello Stato e per non veder fallire un'attività imprenditoriale sana, l'imprenditrice si è rivolta alle banche, all'inizio con scarsi risultati poiché, per la concessione di prestiti, le banche sono use verificare i bilanci dell'ultimo triennio. Cosa impossibile da realizzare poiché l'impresa operava da circa venti mesi, come sopra detto. Anche grazie all'interessamento di politici locali, l'imprenditrice ha comunque ottenuto dei finanziamenti da banche, poiché una impresa giovane non avrebbe ricevuto credito se non fosse stata testimoniata l'esistenza di un diritto al risarcimento del danno. Denari che avrebbero garantito la restituzione del debito contratto con la banca stessa; ora però la situazione si è fatta kafkiana poiché, nonostante la vendita della casa di proprietà per proseguire l'attività di impresa, come detto ripristinata autonomamente dopo solo quattro mesi dall'incidente, si è fatto pesante, quasi insopportabile, l'onere degli interessi sul prestito contratto con la banca. La conseguenza naturale per l'albergo, se non giungeranno i risarcimenti promessi, sarà la chiusura. Cessando l'attività, naturalmente, si causerà la perdita del posto di lavoro dell'imprenditrice e dei suoi dipendenti. Si specifica che i danni subiti sono stati stimati da tecnici in un importo pari ad un milione di euro;
per questo motivo l'imprenditrice si sente una reietta che ha già resistito a tre anni di frustrazioni. Per non dire d'ingiustizie. Il nubifragio del 15 luglio 2009, causando il crollo del muro della villa comunale e la relativa colata di fango e detriti finita nell'Olona ha causato un'onda di piena che ha investito la sua impresa e altri 412 locali tra abitazioni private ed aziende;
l'imprenditrice ha inoltre dichiarato: «Nonostante le rassicurazioni dell'allora Ministro degli interni Roberto Maroni e del sindaco Attilio Fontana, dopo quasi tre anni mi trovo nella condizione di non poter più far fronte alle spese della gestione della mia attività: per non licenziare alcuno dei dieci dipendenti, ho venduto casa mia, vivo con mia figlia di otto anni in uno spazio del relais che ho dovuto ricavare apposta per noi e nessuno dal Ministero s'è più fatto vivo. Anzi sì. Una telefonata per dirmi che il mio fascicolo aveva cambiato di scrivania m'è arrivata. Un modo per dire: ci dispiace, non possiamo fare più niente per te» spiega la donna;
il prefetto Giorgio Zanzi ha ricevuto la nuova «vicina di casa» («dalle 9 alle 19 di ogni giorno - dice Anne-Alexandra - sarò qui finché la situazione non sarà sbloccata. Spero solo di riuscire a resistere
alle conseguenze dello sciopero della fame») e le ha garantito di farsi parte diligente in questa incresciosa vicenda: «È stato cordiale e disponibile - spiega la giovane mamma - e mi ha spiegato che a Roma il mio caso è noto e che qualcuno ci sta già lavorando. Però, con tutto il rispetto per le istituzioni, fin qui proprio dalle istituzioni ho ricevuto solo promesse non mantenute. Questa volta, se devo morire, lo faccio con la dignità di una che muore di fame a causa di dovrebbe fare gli interessi dei cittadini e considera quali priorità le auto blu»;
sono in gioco i risarcimenti dovuti per i danni causati dall'alluvione, risarcimenti che rischiano di risultare delle mere promesse al vento, con conseguenze drammatiche per le piccole imprese e i privati cittadini danneggiati. Secondo un politico cittadino «Sindaco e giunta credevano di prendere in giro solo scomodi avversari politici ma il danno più grave e intollerabile è la presa in giro di chi, come la signora Bacchetta, si ritrova a barcamenarsi tra le conseguenze drammatiche del danno e la beffa imposta da chi a parole offre solidarietà e nei fatti si dimentica di chi ha bisogno»;
l'aver ricevuto solo promesse e ingiunzioni di pagamento - spiega la giovane imprenditrice, l'ha indotta ad un atto non usuale tra gli imprenditori. «Ho tenuto duro, non ho licenziato nessuno dei miei dieci dipendenti. Abbiamo insieme rimesso in piedi l'attività. Però l'assicurazione s'è tirata indietro, la banca che ci ha concesso prestiti confidando sui rimborsi della calamità ci presenta un conto salatissimo e i tempi della giustizia civile rischiano di farmi fallire entro giugno (quando è fissato un'udienza nella causa tra l'imprenditrice e al sua assicurazione, ndr). Per non parlare delle promesse: ne ho ricevute da politici e rappresentanti istituzionali ed è demoralizzante, dopo tre anni, avere la consapevolezza d'essere un cittadino italiano solo quando c'è da pagare le tasse. Perché in caso di bisogno concreto, non inventato come posso testimoniare con foto e documenti, bisogna tirarsi fuori dal fango da soli»;
si precisa che prima di iniziare lo sciopero della fame avanti alla prefettura, la Bacchetta ha provato ad adire le vie legali, chiamando in causa il comune di Varese, la regione Lombardia e l'Agenzia interregionale per il fiume Po, quali responsabili del mancato controllo degli argini del fiume Olona. Il corso d'acqua impazzito che originò l'esondazione e la distruzione del suo albergo;
l'atto di citazione è stato notificato recentemente presso il tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano, competente per materia. È la seconda causa civile, perché ha in corso da tempo una controversia con la sua assicurazione che non ritiene di doverle pagare i danni per l'alluvione. Nella denuncia presentata dal suo avvocato, spiega che gli argini del fiume non hanno tenuto e che una responsabilità chiara emergerebbe, in capo al comune di Varese, per la mancata manutenzione del muro di cinta del parco di Villa Toeplitz, che, marcio a causa dell'acqua, fece franare la collina nel fiume aumentando la portata della piena, e concorrendo pesantemente nella successiva esondazione;
la tesi, secondo gli avvocati, è suffragata da una perizia di parte contenuta nella denuncia. L'Agenzia del Po è stata citata perché è l'ente deputato a curare gli argini, mentre la regione è stata chiamata in causa anche per la gestione dell'emergenza che i denuncianti considerano errata. La denuncia fa riferimento agli articoli 2015 del codice civile (danno cagionato da cosa in custodia) e il 2043 che regola il risarcimento danni;
la Bacchetta ha deciso di attuare questa forma nonviolenta perché i suoi diritti vengano presi sul serio dalle istituzioni, è perché «ho capito che non avrò mai una lira. Quello che voglio è che i politici vedano come siamo ridotti» -:
se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e nell'eventualità positiva,
quali iniziative urgenti intendano assumere per garantire il rispetto dello Stato di diritto, per garantire i diritti dell'imprenditrice e delle persone che si trovano nelle medesime condizioni del soggetto dell'atto di sindacato ispettivo la quale, con raro senso di giustizia e di legalità, sta incarnando una lotta che tanti altri interessa e che è emblematica del degradato stato in cui versano le istituzioni democratiche.
(4-15713)
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