2008: Le grand alibi di Pascal Bonitzer
Ennesima conferma del pessimo rapporto tra Agatha Christie e il cinema.
Salvo un paio di rari casi (Assassisinio sull’Orient Express e soprattutto quell’autentico capolavoro che è Testimone d’accusa) alla grande scrittrice inglese è capitata la stessa sorte di Stephen King che il grande schermo ha molto sfruttato per opere tutt’altro che degne (anche nel caso del romanziere americano abbiamo solo un paio di titoli validi, Shining e Dolores Claiborne). Il cinema ha tradito i due celebri e celebrati scrittori, incapace di riprodurne l’atmosfera, lo stile, la tensione, il coinvolgimento… il talento.
Uno degli ultimi esempi di scempio è proprio questo Alibi e sospetti (preferibile il titolo originario) che Pascal Bonitzer (illustre critico dei «Cahiers du Cinéma», sceneggiatore preferito di Jacques Rivet, qui alla sua seconda regia) ha tratto da Poirot e la salma del 1946, rimaneggiandolo completamente (la figura del celebre investigatore è scomparsa, l’ambientazione è nella Francia di oggi). Il cast è buono, la messinscena elegante… ma nulla più. La suspense è totalmente assente, il colpo di scena finale è presentato frettolosamente e senza sufficienti spiegazioni, la curiosità dello spettatore per sapere la verità sul mistero indagato non è richiesta. Sicuramente al regista il romazo della Christie non interessava come «giallo»: vi ha visto un pretesto per fornirci un affresco della moderna borghesia, con le sue inquietudini le sue paranoie le sue meschinerie. Il risultato è però tutt’altro che soddisfacente: Bonitzer non è riuscito a dare autenticità ai suoi personaggi che appaiono artefatti e non credibili (con l’aggravante spesso di comportamenti non motivati). E così Alibi e sospetti scontenta sia gli amanti del trhiller sia quanti dal grande schermo pretendono un plausibile ritratto della società odierna in cui potersi rispecchiare.