La mattina, mentre aspettavo che K. finisse il massaggio, avevo visto su una rivista un articolo su una bella zona costiera (Mahout Coast), facilmente raggiungibile da Sinaw (ehi, ma è a pochi chilometri da Sohar!), così, quando il mio compagno d’avventura mi ha chiesto se avevo delle idee su qualche posto interessante da visitare, gli ho proposto di cambiare itinerario e passare da nord. Seguendo la statale 03, continuo a cercare l’indicazione giusta per deviare direttamente sulla spiaggia: … Sinaw… … Sinaw… Shinas!? Ooops, forse mi sono sbagliata! E infatti sulla spiaggia non riusciamo ad arrivarci, riusciamo solo a perderci in un labirinto di vicoli sterrati circondati da casette basse, dove brucano mandrie di caprette e i bambini ci salutano e ci guardano come alieni. Quando, finalmente, arriviamo nel centro di Shinas, ci rendiamo conto che è una specie di ghost town sul mare: l’unica presenza umana è il ragazzo indiano che pulisce il mercato del pesce. “È chiuso. Ripassate domani mattina.”
Vabbé, almeno abbiamo approfittato della deviazione per mettere benzina: “Eheh, in Oman la benzina è molto più economica!”, si bulla K.
“Vuoi un twinkie?”, chiedo a K. mentre aspettiamo in fila nella terra di nessuno. “Grazie, effettivamente cominciavo a sentire un certo languorino…” “Ce n’è anche un altro: se vuoi lo puoi mangiare, ché io non ho fame.” “Mmmhhh, no, forse è meglio razionare le scorte: prevedo una lunga attesa.” “Mi sa che hai ragione. Teniamolo per dopo, altrimenti dovremo mangiarci a vicenda come nel film dei sopravvissuti sulle Ande.”
Fast forward un’ora: abbiamo passato indenni le formalità doganali (e ci è rimasto ancora l’ultimo twinkie!) e stiamo risalendo i Monti Hajar sulla strada Kalba-Sharjah. I Monti Hajar si estendono tra gli Emirati e l’Oman e sono la catena montuosa più importante della Penisola Arabica orientale, con creste brulle e accidentate e parecchi picchi al di sopra dei 2000 metri. Sicuramente il posto dove speri NON ti accada mai ciò che sta per accadere a noi: la macchina di K. comincia a singhiozzare in salita, per poi fermarsi definitivamente in piena curva. Cosa succede? Cazzo, speriamo non sia la batteria… No, non è la batteria: l’avevo appena fatta controllare. Preoccupati, scendiamo a terra per vedere cosa può essere successo e ci avviciniamo al guardrail: il panorama è favoloso, ma ora che so che siamo sull’orlo di una parete a picco di quasi 1000 metri sono ancora più preoccupata. Finalmente, dopo avere smanettato un po’ con il motore, il mio amico riesce a far ripartire l’auto e io comincio a pensare che forse ce la farò a tornare a casa con tutti gli arti ancora attaccati al corpo. MA l’automobile continua a viaggiare a scatti e a spegnersi di tanto in tanto e, considerando che abbiamo ancora tre passi da attraversare e svariati tornanti prima di raggiungere la strada piana, non mi sento molto tranquilla.
Per fortuna K. è un asso del volante (e soprattutto uno che non si fa prendere dal panico) e, habba habba, superiamo le montagne e torniamo in piano: la strada è una lingua grigia che taglia il giallo polveroso del deserto. Nell’afa che sale dall’asfalto gli alberi di ghaf sembrano danzare.
Alla fine, anche se a 60 km/h, ce la facciamo a tornare alla civiltà. Poco prima del tramonto ci fermiamo a un distributore di benzina a Dubai per far controllare il motore. Il ragazzo alla pompa ci guarda e scuote la testa: “Ma dove l’avete presa ‘sta benzina? È piena di sacche d’aria…”