(All Good Things)
Andrew Jarecki, 2010 (USA), 101' uscita americana: 3 dicembre 2010
uscita italiana: 2011
Tratto da una storia vera, romanzata il giusto, All Good Things ci riporta alla Manhattan degli anni '80, nella quale la scomparsa della giovane compagna (Kirsten Dunst) del primogenito di un magnate dell'edilizia (Ryan Gosling) nasconde una giusta dose di misteri e malefatte.
Il primo lungometraggio di Andrew Jarecki ha incontrato molte difficoltà nella distribuzione in patria (così come all'estero) e solo dopo l'acquisizione dei diritti da parte dello stesso regista ha finalmente visto la luce nelle sale americane. Speculazioni a parte – il film affronta le vicende della influente famiglia Durst e suggerisce conclusioni piuttosto arbitrarie su un caso che ad oggi è ancora aperto – questo ostracismo appare poco giustificabile, perché la pellicola mantiene comunque un discreto appeal ed è, soprattutto, molto ben interpretata. Entrambi i protagonisti restituiscono egregiamente due caratteri complessi, che presentano numerose zone d'ombra: Kirsten Dunst, espressiva e davvero attraente, è perfetta per interpretare l'ingenua Kate, in balia di un mondo e di prospettive che non riesce a comprendere fino in fondo; allo stesso modo anche Gosling riesce a rendere convincente il problematico David, vittima di una crescente psicosi che affonda le sue radici in un trauma dell'infanzia. Le ottime performance del cast (in cui figura anche Frank Langella, nei panni del burbero patriarca) vengono però svilite da una narrazione piena di buchi, nella quale pur di non esporsi completamente circa una possibile interpretazione, Jarecki ed i suoi due sceneggiatori Marcus Hinchey e Marc Smerling offrono pochi spunti allo spettatore: il paradosso è proprio che queste lacune nello script fanno si che l'intera storia sia presto indirizzata inequivocabilmente in una direzione, privando del giusto pathos sequenze comunque ben orchestrate – in particolare è interessante la scelta di escludere (limitandosi a suggerirla) ogni genere di violenza. I molti lati oscuri del personaggio di Gosling, goffamente rivelati col passare dei minuti, non aiutano a rendere davvero credibile la storia; questa mancanza di empatia nei confronti del presunto carnefice influisce inevitabilmente sulla resa dell'intera narrazione.