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ALL’INCANTO DEI DESIDERI | Breve e non esaustivo viaggio nell’universo della canzone omosessuale italiana

Creato il 18 giugno 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia
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bannercanzoneomodi Carlo Camboni

Una bella canzone ferma il tempo nella sua breve durata e lo misura fissandosi nella memoria, costruendo o inventando un passato mitico. Il paroliere, come scrittore talvolta poeta, ottiene questo risultato magico attraversando un’esperienza psichica profonda e rivelatrice, riuscendo a condividerla, renderla patrimonio, eredità, eccezione, diffondendo il cambiamento di gusto, giudizio, consapevolezza che ha trovato nelle sue nuove parole. Senza questa autenticità gli ascoltatori/lettori trovano solo facile evasione senza adesione profonda, riflessione, condivisione del cambiamento, debole riflesso senza possibile reazione intelligente.

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L’unione di musica e versi nella forma della canzone riuscita stimolano invece il fascino indiscreto delle opinioni infinite su testo, autore, interprete, risultato comunicativo ed estetico, ascoltando la pancia e il cervello, assecondando il bisogno primordiale di comunicare a propria volta, moltiplicato nelle generazioni drogate dai social. Basta accendere la radio e impostare una qualsiasi frequenza per constatare, con amarezza, che quanto offerto dal mercato discografico in Italia, non provocherà mai – crack emotivi a parte – crisi di coscienza o turbamenti, qualsiasi tematica venga trattata nelle canzoni. Chi gestisce il mercato discografico, attento alle tendenze ma poco incline alle suggestioni, pensa e produce in funzione del profitto ed è comprensibile che sia così, per cui in vetrine quali il Festival di Sanremo – concepite per ottenere grandi introiti pubblicitari e ascolti record – non scopriremo mai canzoni legate a temi considerati scottanti dal censore di turno, visto che persino la parola “omosessuale” fu censurata in quel palco nel 1996: il brano era “Sulla porta” di Federico Salvatore e alcune parole furono tempestivamente cambiate per l’occasione forse per prevenire episodi di omosessualizzazione di massa via etere al solo udire una parola. Mai fidarsi degli italiani! Ah, il potere della parola! E che arido un mondo regno di seriale ripetitività, perché questo è il punto: esiste un problema di ridondanza tematica. Nelle canzoni si parla d’amore e poco altro e, sia chiaro, va benissimo parlarne a patto che si tratti dell’amore in tutte le sue molteplici espressioni, senza ipocrisie e infingimenti, liberamente. Altrimenti: che resta delle canzoni che abbiamo creduto di ascoltare se non il nulla che rimane quando un autore non vuole compromettersi troppo col mondo? Anna e Marco, Piero e Cinzia, Mauro e Cinzia, mai un Carlo e Mario.

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Propongo allora un breve e non esaustivo viaggio nell’universo della canzone omosessuale (gay, lesbo, ma anche bisex, transgender, ecc.) alla ricerca di prove evidenti di sincerità non esibita e onestà intellettuale, elementi della scrittura intima, da diario in cui si annotano i versi preferiti; un tentativo di fuga non soltanto dal disco perfetto nella sua vacuità di tanta produzione recente ma anche da fan manichei o idolatri d’accatto sempre pronti a brandire le loro icone in ogni occasione mancata. Il grande fascino delle tassonomie è dato dalla loro singolarità e più sono originali e arbitrarie tanto più seducono: per trascendere la noia e dare un senso all’imprevisto citerò, seguendo il mio gusto e il mio istinto, alcuni cantautori capaci di usare la scrittura come azione liberatoria e raccontare in musica, ciascuno con la sensibilità che gli è propria, l’amore tra persone dello stesso sesso o vicende di bellissimi angeli transgender.

Uno di questi cantautori è Ivano Fossati che ha composto una bella, compiuta e misteriosa canzone, “Denny”,per l’album “L’arcangelo” del 2006. Una rabbia trattenuta fa centro con la scrittura, l’accenno ad un presente lavorativo difficile e precario, parole semplici, evocative: il rapporto di coppia purtroppo è ancora negato da chi non capisce; i protagonisti sembrano non curarsene nonostante la durezza del contesto sociale in cui vivono li desti dal loro sogno d’amore, per brevi momenti, i più duri della giornata. “Nessuno sa e nessuno nemmeno capisce / nessuno vede l’amore, nessuno lo intuisce / io fra i tuoi occhi splendenti / ci sto perduto nel mezzo / se accendessi un’altra luce non la vedrei.” Più colorato e fumettistico, gaio,il marinaio brutale di Samuele Bersani, un sensuale “Braccio di Ferro” (1997) che non ha bisogno di Olivia ma di cartoni animati, dolcezza e un po’ di fumo: “Guarda che uragano, come fulmina! Come infiocina! Lanciamo un S.O.S.! Bruto! Aiuto! Stai con me! Guarda qua sono innamorato e fumato. Ho una foto da scattare e voglio farla a te, Pirata Marinaio, sono carne e non un pezzo di cartone ok? Questo è il vero guaio.” Musicalmente splendido e suonato divinamente è invece il brano di Pino Daniele che parla di una transgender,“Chillo è nu buono guaglione” del 1979, un angelo che sogna una vita coniugale, grida la sua libertà dai vicoli di Napoli e pare esplodere dal disco tanto precisa è la sua descrizione; nessun giudizio, ipocrisia assente, Daniele sembra moltiplicarsi in un’interpretazione magistrale: prima riferisce sommessamente i commenti degli abitanti del quartiere, poi si appropria del personaggio e rivendica i suoi sogni cantandoli con la sua voce; capolavoro: “chillo è nu buono guaglione, s’astipa ‘e sorde pe l’operazione / E mi chiamerò Teresa, scenderò a far la spesa, me facce crescere ‘e capille e me metto ‘e tacchi a spillo / inviterò gli amici a casaa passare una giornatasenza avere la paurache ci sia una chiamata / e uscire poi per strada”. Le fa eco un’altra transessuale, la “Princesa” di Fabrizio De André (e Ivano Fossati), celebrata in un brano di bellezza cristallina liberamente tratto da un romanzo di Fernanda Farias e Maurizio Janelli e così spiegato da De André: “Il meglio della cultura viene sollecitato da persone che si trovano in minoranza e che proprio per i loro doni vengono emarginate e all’occorrenza perseguitate. Un esempio classico sono gli individui che nascono con caratteristiche esteriori appartenenti a un sesso che non corrisponde alla loro identità più profonda”:

“e io davanti allo specchio grande / mi paro gli occhi con le dita / a immaginarmi tra le gambe una minuscola fica. Nel dormiveglia della corriera lascio l’infanzia contadina, corro all’incanto dei desideri, vado a correggere la fortuna”

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L’amore tra ragazze è trattato da un ispirato Antonello Venditti che tratteggia in versi da canzoniere catulliano il convincente ritratto di “Giulia” (1978), storia dell’ossessione di un uomo per l’amica della sua compagna, quasi idealizzata dalla gelosia che diventa parola: “Giulia è qualcosa di più, Giulia ti accarezza, Giulia lotta insieme, Giulia parla anche per te… oh! è Giulia che ti tocca, è Giulia che ti porta via da me… dove il cammino è deserto e il deserto è confine”. In “Giulia” la storia è raccontata da un uomo mentre una romantica e sensuale Gianna Nannini racconta un’avventura tutta femminile in “Lei” (1979): “nel silenzio ero notte sul suo seno e sfuggivano le mani senza più paura”, ed ancor più suggestiva l’amata Carmen Consoli, poetessa, che per l’ultimo album (2015) ha composto “Ottobre”, ovvero la passione tra due ragazze d’altri tempi in procinto di prendere una decisione importante: pare di scorgere e accarezzare le due sensuali bellezze mediterranee scompigliate dal vento mentre intravedono gli abissi di una nuova vita, ogni parola una scelta che non ammette deroghe: “Ottobre era il mese migliore per scorgere i tramonti che infuocavano l’orizzonte / trafelate ci alzavamo e con disinvoltura rientravamo in scena con le gote rosse / piuttosto che il limbo avrei scelto l’inferno fosse stato il prezzo della libertà!”. Nel 1989 viene pubblicato “Oltre l’Eden” il disco di Patty Pravo più amato dalla critica; disco imperfetto secondo la stessa cantante, in realtà  bellissimo, contiene “Ragazza passione”, scritto proprio dalla Strambelli: “Lacrime che scivolano sopra i miei seni soli / che strano amore: è così diverso”, ma senza alcun dubbio, per qualità inarrivabile dell’interpretazione, arrangiamento, assolo di tromba finale e testo, la più bella canzone d’amore omosessuale al femminile è “Carmen” (1987) scritta da Ornella Vanoni e Ivano Fossati, cantata dalla Vanoni, “ah, cosa ci è capitato? …e come avranno riso in platea del nostro amore orgoglioso, del nostro amore indiscreto, arrabbiato, impietoso, sfacciato, del nostro amore troppo affamato che s’inchinò a baciarci sul cuore e a noi questo bastò”.

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Un capitolo a parte merita Renato Zero che nelle sue canzoni ha trattatouna tale varietà di temi da poter essere considerato, per la sua ambigua unicità, un autore irripetibile:“Al cinema” (1991) parla esplicitamente di una serata mica male in un locale a luci rosse, “La luce che va giù sono un po’ eccitato / Scusi un gelato, dio mio com’è salato!” mentre “Per non essere così” (1984)rivela, a mio avviso, originalità e fantasia dell’universo Zero, tra rivelazioni e ironia,luci e ombre di marciapiedi, puttane e travestiti, l’insistere sulla disperazione della prostituzione maschile: “Apri il portafoglio e paghi, quell’ora in più! Ambiguo, diverso, perverso; e adesso, come mi vuoi? Più donna? Più uomo?”, tema già affrontato nella struggente “Salvami” (1976): “Salvami, dalla strada che non sa fra giorno e notte, quanti figli ha! / Fra questa gente in cerca d’allegria / Che compra e vende questa pelle mia!”. Zero fu il primo a usare e sdoganare la parola “gay” in un brano del 1980, “Onda gay”, appunto, brano tratto da “Tregua” che contiene un’altra bellissima canzone, “Per te”: “Io ti amo perché sei un ragazzo, amo il mondo tuo qualunque sia: quella tua fragilità, quei peccati di un’età, amo di te che hai ancora una poesia. Mentre c’è chi corre ancora dietro al futuro, il futuro è lì, dietro quel muro!”. Nella sua sconfinata discografia tante sono le canzoni che affrontano più o meno esplicitamente l’argomento (“Sergente no”, “Tu che sei mio fratello”, “Mi vendo”, “Sbattiamoci”, “Profumi, balocchi e maritozzi”, “Santa Giovanna”) e ogni volta c’è un riflesso diverso della personalità del cantante che pare voglia emergere prepotentemente, ora gioioso e in vena di ribellione come in “Onda gay”, altre volte più inquieto e pronto ad evadere in altre dimensioni, addirittura in “Un altro pianeta”: “Partiremo, avremo più rispetto, quello stesso che ci hanno negato”; forse solo lui è riuscito a catturarsi e ad essere impietoso con se stesso in “Naturalmente strano”: “privo di un’etichetta infilo il naso dove mi va… brucio la vita eppure non ho fretta; rifiuto l’uniforme gli inviti della pubblicità, pranzo coi neri,  ceno coi rossi, mi fidanzo con chi mi va… io sono strano, son di me l’altra metà”. Mi piace ricordarlo vestito da marinaio constivaletti bianchi in prima serata RAI di sabato mentre canta con movenze femminili “La fregata”, uno di quei rari casi in cui testo, musica e performance on stage diventano inscindibili: “Chi mi chiama Marilena / Chi Silvana, chi mi chiama Sofia / Ho una faccia per ognuno ed ognuno si consola perché quando c’è l’alzabandiera sono fiera di me! Mi vuol bene l’equipaggio / Mi sorteggio / Tocca a te, a lui / Poi tocca a tutti voi!”. Complesso il rapporto di Zero con la comunità glbt, soprattutto a causa di alcune dichiarazioni e la volontà di non schierarsi esplicitamente a favore delle rivendicazioni per i pari diritti per tutti. Dice Zero nel 1986: “Io ho sempre puntato ad essere un uomo e m’ero dimenticato che bisogna essere anche maschi, finalmente ci sono riuscito!” E così dicendo alza le braccia al cielo in segno di vittoria.

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Conta di più la vita o l’opera?

Difficile concepire un mondo di maggioranze e minoranze sessuali visto che la sessualità di ciascuno è unica e irripetibile, così come non ripetibili dovrebbero essere vita e opera di un artista, per cui ritengo doveroso affrontare la dibattuta questione dell’opera dei cantanti e cantautori gay giovani e anziani, reduci di coming out, outing, ripensamenti, ribollimenti ormonali in pieno inverno e via col disco, dato che non ci hanno fatto mancare mai nulla. Alla domanda di Aldo Busi che aprì un interessante dibattito dopo la morte di Lucio Dalla “conta di più la vita o l’opera?” rispondo senza l’alito del dubbio: totale compenetrazione, perché in assenza di un impasto carne e sangue, pensiero che si fa parola e azione, anche politica, non esiste la possibilità, spesso illusoria, di essere artisti, posto che mentre in letteratura abbiamo esempi di scrittori che fanno dell’impegno civile la loro bandiera, nella musica tutto appare più sfumato e vago, come se vita e opera fossero distinte. Ciò non mi impedisce di ascoltare e apprezzare l’opera di un cantante notoriamente gay ma non dichiarato e non schierato a favore dei pari diritti civili per tutti che fa del politically correct la sua ancora di salvezza. Non è utile alla causa glbt? Denuncio la natura falsificatoria del suo alibi, stimolo un confronto dialettico, gli o le scrivo, ma non si può rigettare lo sforzo (quando c’è) e l’espressione di chi, nel contesto in cui agisce, è debole o confuso poiché la denuncia, così come la rivendicazione, appartengono a chi è consapevole, a chi è libero, e quanti in questo istante possono dire di essere veramente pienamente liberi da qualsiasi condizionamento? Detesto e cerco di evitare le rivalutazioni postume e le speculazioni così come detesto l’espressione icona gay. Icona di chi? Effigie sacra di chi? Paradossalmente tanti cantanti e autori che hanno abbracciato la battaglia per i pari diritti per tutti sono eterosessuali (soprattutto donne, e mi vengono subito in mente Mannoia e Consoli), mentre quelli di cui tutti sanno ma nessuno parla tacciono a loro volta in un gioco di verità sottaciute imbarazzante e fuorviante per tanti ragazzi e ragazze che aspettano dai loro beniamini un gesto, un esempio di lealtà. La battaglia contro l’ipocrisia dei morti da vivi è in atto e non serve la delazione, la collera, o peggio ancora lo snobismo intellettuale; schiavi delle ossessioni alimentiamo altra decadenza, se mai ce ne fosse bisogno. Servono, ancora e sempre, cultura e ironia. Alfredo Cohen (recentemente scomparso) e Andrea Tich sono da ascrivere di diritto nel filone degli artisti in cui vita e opera sono unica cosa, anche se Tich, giustamente, non ama le etichette, considerandole riduttive. Poesia, protesta e denuncia possono coesistere ed essere espresse in forma di canzone: ce lo dimostra lo sforzo prometeico di Cohen nel suo unico disco “Come barchette dentro un tram”, un album divenuto con gli anni oggetto di culto e venduto a prezzi esorbitanti nelle aste on line; la vena cantautorale di Cohen, artista militante, si esaurì nel 1979, anno di pubblicazione di un 45 giri il cui lato A, “Valery”, scritto e composto insieme a Battiato e Pio, ispirò successivamente la celebre “Alexanderplatz” cantata da Milva: “Valery, i tuoi occhiali alla Minnelli / il rimmel t’è riuscito sui tuoi occhi di quindicenne. / Sei un tipo molto allegro! Sai che d’inverno si vive bene come di primavera? / La bidella ti fa ripetere una lezione troppo antica: mi piace di più lavare i piatti, spolverare, fare i letti, poi starmene in disparte come vera principessa prigioniera del suo film, che aspetta all’angolo con Marleen… Hai le borse sotto gli occhi tuoi di Liz Taylor, e suoni Schubert.”

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Il male bello

Per Ivan Cattaneo gay è gaio, gioia, gioco, esibizione vocale e sessualità esplicita e nella conturbante “Male bello” (1979), poi ripresa dalla divina Pravo,canta sfacciatamente di un rapporto anale: “fa che io sia cerino fra le dita tue: e dai sfregami! Accendimi poi bruciami e poi gettami via,  una smorfia sporca di follia! Dai parcheggia sul mio cuore ma senza farmi tanto sanguinare, tu sei il male bello da masticare”, posto che Cattaneo ha sempre giocato non tanto con l’ambiguità quanto con l’ironia potendo permettersela grazie al suo background culturale: aveva assorbito nei settanta gli umori di una Londra in pieno fermento musicale riuscendo a elaborare un suo stile che addirittura anticipava i tempi (e che tempi gli ottanta!) e la trasgressione di tante star internazionali che facevano di ambiguità bandiera (Steve Strange, Boy George, Marilyn, eccetera); si ascolti, consigliatissimo l’acquisto, l’intero album “Primo, secondo e frutta IVA(N) compreso”, ammesso che riusciate a reperirlo; ogni respiro, ogni vocalizzo urla gaytudine, evviva! Ancora, sul filo del paradosso e dell’ironia, è bello ascoltare “Omosessualità” il gioco acido di Elio e le Storie Tese  che demonizzano i luoghi comuni sui gay citandoli tutti sugli echi di un’inverosimile imitazione di Amanda Lear, per non dire di Stanlio e Ollio e Fausto Leali, il tutto condito da un testo che esplicita una rivendicazione che è già azzardo politico:  – “lo prendo in culo come voi ma amo più di voi”. La Nannini, da parte sua, reclama uno “Scandalo” in piena regola, possibilmente in prima pagina, svergognata: “Vizia, vizia, viziami la mano, sei più bella nuda e senza fiato; lecca, lecca, lecca il gelato,  voglio uno scandalo”. Erotiche molte canzoni composte da Cristiano Malgioglio per Mina e altre grandi cantanti italiane. Da “Sbucciami”, già dal titolo un programma la cui fine è ignota, merita di essere ascoltata la struggente “Ernesto” (1979): “Ernesto, ma che bordello fa la mia testa, è qualcosa che spaventa, Ernesto, Dio che caldo il tuo cuscino!”, …e nella galleria extravaganza c’è anche chi ama travestirsi e vendersi, come la stangona di un metro e novanta pronta a rimetterci un pezzo di cuore con un amante; per le tre ottave di Mina, Cocciante ha composto la musica di “Donna, donna, donna” (1995), pezzo nobilitato da un’interpretazione intensa, sofferta: “sono un sogno travestito da donna, una luce accecante, uno stupefacente, una donna, donna, donna”.

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Sul tema si è espresso in modo chiaro e preciso anche Caparezza ne “La mia parte intollerante” (2006); le parole annullano il ritmo della noia, il gioco è l’invenzione di aver affidato il ritornello al bravo Gennaro Cosmo Parlato: “mi troverai nel viavai di un gay pride, ma sappi che se mi provocherai sono guai, cari professori miei, io vorrei che in giro ci fossero meno bulli del cazzo e più gay”. E a proposito di professori e maestri, non a caso citati nei testi come retrogradi rappresentanti della Norma Veterosessuale, è un piacere ascoltare Fabio Concato in una canzone graziosa e delicata, “Ti ricordo ancora”, forse un ricordo d’infanzia e un sogno a occhi aperti più che una vera e propria canzone d’amore omosex: “E ti ricordo ancora, quando scoprirono che mi accarezzavi piano e mi ricordo che mi tremavano le mani ed un maestro antico che non capiva.” Più deciso Daniele Silvestri che scandaglia le possibilità comunicative della bisessualità con “Gino e l’Alfetta”; nel 2007 divenne l’inno ufficiale del Gay Pride, un brano cantato con piglio divertito e divertente con un testo che non lascia indifferenti perché l’autore fa capire molto chiaramente come la pensa in tema di ipocrisia, male inestirpabile degli italiani: “Preferisci pensare che un gay sia una sorta di errore una cosa immorale o nel caso migliore un giullare, un fenomeno da baraccone e lo tollererai solo in quanto eccezione e lo tollererai solo in televisione. Maria sei sempre mia, sei l’unica possibile ma di Gino io mi fido un po’ di più: lui mi conquista, lei mi rilassa! Gino ha i miei stessi punti di vista e per adesso mi basta”. Fuori dal podio ma da citare, “Non ditelo” di Fabri Fibra, unico caso in Italia (forse al mondo) di una canzone di outing, che indica cioè l’omosessualità di qualcuno: “Secondo me Mengoni è gay ma non può dirlo perché poi non venderebbe più una copia; già me lo vedo in camera arriva una figa prende il suo cazzo in mano e lui “lasciami ti prego!”.

***

La Tracklist comprende anche: Blu(e) notte (Roberto Vecchioni) che cita Sandro Penna; Andrea (Fabrizio De André), C’è un posto caldo (Faust’O), Polisex (Ivan Cattaneo), Dolce ragazzo vai componi prati (Alfredo Cohen), L’anello mancante (Carmen Consoli), Resta vile maschio dove vai (Rino Gaetano), Paolo Pa (Banco del Mutuo Soccorso), Per un’amica (Ornella Vanoni), Chissà (Gerardina Trovato),Stasera se un uomo (Zucchero), Kara (Krisma), La differenza (Mariella Nava), Pierre (Pooh), Due madri (Roberto Vecchioni), Gaio (Rettore) Pensiero stupendo (Patty Pravo), Maddalena (Pierangelo Bertoli), Balla balla ballerino (Lucio Dalla), Gaston e Astolfo (Roberto Vecchioni + Ornella Vanoni), Bello mio (Teresa De Sio)…

…e, soprattutto, le canzoni che ciascuno di voi vorrà aggiungere sulle tracce di se stesso/a.

Carlo Camboni


Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano

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