All’ombra dei Giganti – puntata n. 12

Creato il 10 febbraio 2015 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Sangue e latte, nella casa della madre

Talvolta le pagine dei libri ci offrono doni inaspettati, pongono sul nostro cammino gemme per le quali non possiamo vantare alcun merito. Perché non le abbiamo cercate, non sono frutto di indagine e di studio, se non del puro caso.

Di questo autore, infatti, non sappiamo nulla, la storia ci è apparsa per il semplice fatto di aver sfogliato un’antologia fra tante. Seppur breve e di semplice architettura, il pezzo ci travolge come pochi, rimane a sedimentare e lascia tracce persistenti. Quando il racconto di uno sconosciuto torna come fosse parte dei nostri stessi ricordi, si mescola e confonde con essi, allora forse merita qualche istante di attenzione in più. Può capitare che alla fine riesca persino a entrare nel novero delle indelebili lezioni di coloro che noi chiamiamo giganti.

È appunto il caso di un autore il cui nome ai più non dirà molto. Trattasi di David Morrell, canadese, classe 1934. Scopriamo che egli è il padre di una delle icone del cinema popolare americano, oltre che di uno dei fumetti che da più tempo tiene desta l’attenzione degli appassionati del genere. Il fumetto è Captain America (Morrell ne è uno dei più apprezzati autori). L’icona, invece, è nientepopodimeno che Rambo, sì quello interpretato da Stallone.

Di tutto ciò, tuttavia, non diremo nulla. Tranquilli.

Nel corso della sua lunga e proficua carriera, il buon Morrell ha dato prova di non comune abilità anche nel genere horror, oltre che nel thriller e adventure. Da questi rari fuori pista sono nate chicche come The Dripping, Lo Sgocciolio, del 1972.

Chiediamo fin da ora perdono se saremo costretti a svelarne il finale, ma vista la sua brevità, sarebbe difficile coglierne a pieno la ricchezza e smontarne l’architettura narrativa senza farlo.

Direi di fare così: andate a leggerlo e poi troviamoci qui a continuare la nostra rapina.

Fatto?

Bene, allora, come avrete visto il plot è piuttosto lineare, forse neppure tanto originale.

Un uomo porta la propria famiglia a vivere in campagna, nella casa dove è nato e dove ancora vive l’anziana madre. Un giorno, tornando dalla città, scopre che moglie e figlia sono scomparse, mentre l’anziana madre giace coperta di sangue nel proprio letto.

Cosa è accaduto? Chi si è introdotto in casa?

Che però ci sia qualcosa di stonato, di fuori posto, lo intuiamo fin dall’inizio, dalla prima frase, coniata dal protagonista al tempo presente. Disorienta. Quest’autunno alloggiamo in una dimora di campagna, la casa di mia madre, quella in cui sono cresciuto. Ma non si trattata di un soggiorno temporaneo, di una vacanza. Lui e la famiglia si sono trasferiti lì a vivere. È come se fossi qui ora e, al tempo stesso, allora, con la testa di un bambino e, insieme, di un uomo.

È la cognizione del tempo che si perde, lo ammette lui stesso, smarrito tra i ricordi dell’infanzia e i tratti mutati del presente. Un uomo che si ritrova in una dimensione sospesa nel tempo, la casa e il suo fienile, luoghi di un’infanzia segnata dal dramma della scomparsa del padre, tanti anni prima durante una tormenta. Ora, come allora, la casa e la madre sono un’unica entità, lo sono per l’uomo che è stato ed è tornato a essere un bambino. Solo che ora l’edificio e la madre gli appaiono deformati, invecchiati. E poi, di nuovo come allora, la dimora è battuta dalla tormenta (che subito si fa insostenibile tormento), la stessa che si portò via il padre e che ora pare aver risucchiato in un pozzo di orrore anche la moglie e la figlia.

L’uomo chiama soccorso, senza attenderlo. Deve trovare le sue donne, proteggerle dall’aggressore. Ma in casa non ci sono. C’è solo la madre, in un letto di sangue. Non possono che essere nel fienile, sempre lì dove anni prima lui e sua madre credettero si fosse rifugiato anche il padre. I flash dei ricordi dell’infanzia si mischiano alle percezioni dell’oggi. Visioni, sensazioni, stato d’animo sono gli stessi. Il terrore monta, l’uomo-bambino scava nell’ombra, uno sforzo inutile. Solo i ricordi sembrano alleviare la sofferenza: l’odore del letame che sentiva quando aiutava il padre a mungere, o il profumo pungente del fieno. Lo proteggono dalla paura, gli impediscono di impazzire.

Finché sente la voce della madre che lo chiama a sé. Impossibile lì fuori, nel fienile, visto che lei che si trova in casa, nella sua stanza. Eppure il richiamo è così forte. L’uomo sa che solo lei potrà indirizzarlo verso la salvezza.

Quando ritorna da lei la trova seduta che ripete la parola ‘bambole’.

Bambole.

La donna infine ha fiato per dire che il figlio deve capire di essere grande, un ometto ormai, gli dice seduta sul letto, rigida. Deve scegliere se essere un bambino che gioca ancora con le bambole o un adulto che si prende cura della vecchia madre e della casa di famiglia.

Lui è spaventato a morte, ma ormai ha capito.

La scena del ritrovamento è un mare di latte. Non di sangue. Non c’è sangue nella cantina dove vengono trovati i corpi della bambina e della moglie, rannicchiate nelle casette delle bambole, con il ventre squarciato e pieno di segatura. C’è latte che gocciola, latte fino alle caviglie, latte ovunque. Perché tanto ne è servito per cancellare il sangue versato. Lo stesso latte delle mucche che lui mungeva da bambino, col padre. Il latte, che anche l’unica parola che l’uomo riesce a ripetere ai poliziotti, travolto, sconvolto.

*

Il paragrafo che chiude il racconto è lo stesso dell’inizio.

Quest’anno alloggiamo in una dimora di campagna, la casa di mia madre…

Parole che tornano come un mantra, come la parola ‘bambole’ ripetuta dalla madre, e poco dopo il ‘latte’ dello stesso figlio. Parole che minacciano di tornare all’infinito, un giorno dopo l’altro, come uno sgocciolio, torneranno ogni volta che l’uomo volgerà il pensiero ai giorni in cui è tornato bambino, per diventare uomo, finalmente di nuovo tra le braccia della madre. Parole che serviranno a scacciare i fantasmi, a tenere lontana la paura. Ma non la follia, unica in grado di unire figlio e madre, a difenderli dalle avversità. Dalla prossima tormenta.

Preso nota, miei cari? David Morrell.

Ottimo, anche questa volta credo ne sia valsa la pena. A voi piacendo.

Alla prossima, dunque, a Dio piacendo.

 Samuel Giorgi



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