All work and no write makes Loffio a dull boy

Creato il 10 febbraio 2011 da Loffio
Ultimamente mi sta succedendo qualcosa di strano, e chi segue queste pagine da tempo (non vi scaldate, il mio bacino d’utenza spazia da fan di Michael Jackson che mi vogliono linciare, passando per psicopatici che mi credono una mente aliena trapiantata in un corpo umano fino a gente che capita qui per sbaglio cercando pratiche sadomaso) (non scherzo) se n’è accorto già da un po’.

Sostanzialmente scrivo poco, e quel poco mi costa grande fatica. Non mi mancano le idee, non mi mancano gli spunti, ma, per usare una delle veraci espressioni che mi hanno portato ad un passo dalla querela, è come se mi trovassi una bella donna nel letto, ma mi fossi dimenticato come si fa.

Perché? Vi direi che è il poco tempo, ma vi direi una cazzata, il tempo si trova. Potrei dirvi che il mondo non mi ispira, ma non è vero neppure questo, è una questione di pause, disordine e abitudini.

“Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?” bella eh? Lo diceva Conrad bifolchi, mica il macellaio all’angolo, ed è una grande verità. Scrivere non parte da un foglio bianco ne da una semplice frase, scrivere parte nella testa quando meno te lo aspetti, ad esempio le idee migliori le ho avute in motorino, che forse è l’unico momento in cui sono solo con me stesso. Ed è proprio questo ciò che mi manca, non guardo più fuori dalla finestra. E questo è un problema.

Se c’è una cosa che ogni corso di scrittura vi dirà, è che dovete avere sempre con voi un taccuino per annotarvi ogni spunto possibile, perché non saprete mai quando potrà tornarvi utile. E’ un ottimo consiglio, penso che tutti dovrebbero seguirlo, ma io  non ci riesco. Io non sono fatto così, non sono organizzato, non riesco neppure a segnare gli appuntamenti in agenda, o ricordarmi un nome o un indirizzo. Non vivo col taccuino in mano. Conosco scrittori bravissimi, organizzati, che si preparano i pezzi prima e li tengono in freezer, si fanno “la scorta per l’inverno”, come la chiamano loro. Io no, io non ci riesco, scrivo di getto (e si vede) la roba esce così e se l’idea buona mi viene quando sono a spasso, mi dimentico di scriverla e lei se ne va, offesa, per non tornare più, al massimo manda la sua sorella bruttina a sostituirla. E questo è il secondo problema.

Immaginate di essere un corridore, uno che prova gioia nella corsa, qualunque sia la distanza o lo stile, immaginate di specializzarvi su una distanza, diciamo i 200 metri o la mezza maratona. A meno di non essere un talento fuori dal comune, noterete che piano piano le altre distanze, pur piacendovi, diventeranno sempre più dure, mentre invece i 200 metri saranno una passeggiata.
Non so se questo paragone ha un senso, non ho mai fatto un passo di corsa volentieri e che si fotta chi lo fa senza problemi, ma serviva solo a farvi capire cosa succede dopo anni che scrivi un certo tipo di cose. Il lavoro (bellissimo, grandioso e che adoro) ad Eurogamer mi ha plasmato come un ferro battuto per molto tempo, a furia di recensioni, anteprime, soluzioni e prove su strada mi sono reso conto che o scrivo perché devo giudicare qualcosa, o mi sento perso.
Chissà se è un problema comune, chissà se Rocco s’è ritrovato a trombare per ore facendo “uuh yeah” anche quando cercava solo di fare due coccole, chissà se Hulk Hogan ha fatto un suplex quando voleva fare solo una stretta di mano.

Chissà, chissà se è uno scazzo momentaneo (probabile) o non passerà più (altrettanto probabile).


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