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ALLA DERIVA - Bar 3/4 Considerazioni inattuali sulla musica da bar

Creato il 10 dicembre 2010 da Fededragogna
hopper lego
Immagino che gestire un bar non sia cosa da nulla - come più o meno qualsiasi cosa si scelga di fare con l'obiettivo di arrivare a fine mese (eccezion fatta per i maestri di surf australiani e i notai).
E molti gestori di bar leggendo quanto scritto sopra, probabilmente non vedono l'ora di darne in mano uno a me o a un qualsiasi milanese indignato - per vedere che razza di disastro riusciremmo a combinare.
L'argomentazione principe è che se il bar di fianco incomincia a fare il furbo, o fai il furbo anche tu o in tre mesi chiudi.
Neoliberismo da bancone insomma - che però curiosamente non attechisce in buona parte del resto d'Europa, dove spesso i bar sembrano effettivamente l'espressione di un progetto/sogno di chi l'ha messo in piedi.
La musica, per me inevitabilmente non secondaria, è un'ottimo campo d'analisi: nelle grandi città europee e non solo, chi gestisce il posto decide quali note debbano invadere il locale - che si tratti di Wagner, reggae o di musica neomelodica bavarese. La cosa non dovrebbe stupire: negli anni passati a metter via soldi per metterlo in piedi, passati a sognare e progettare, ci sarà stata pure una sera in cui avrai detto al tuo compagno di sogni e poi metteremo la musica che vorremo noi e la gente verrà per ascoltarla e alla mattina ci sarà Schubert e a pranzo Satie e alla sera Donald Fagen e non ci sarà un altro bar con la musica uguale.
Bene, a Milano non accade nulla del genere.
Il novantotto per cento dei bar (la percentuale è figlia del mio ingiustificato ottimismo, non della mia esperienza che direbbe cento) ha semplicemente la radio.
E non, che so, una delle diecimila ottime webradio che si possono trovare in giro: no, la radio italiana - quell'esperienza orribile e offensiva che mette in rapida sequenza ore e ore di pubblicità ad altra pubblicità, inframezzata da successi del 1989 e speaker felici di non si sa che cosa mentre dicono parole circa questioni di cui non vogliono sapere nulla parlando occasionalmente al telefono con gente che vuole semplicemente salutare quelli a casa.
E tu, dopo tutta la fatica che hai fatto per mettere su il tuo bar, non sai far altro che accendere la radio, obbligando chi beve il caffè all'attacco senza senso di venditori di macchine, caffé, assicurazioni, satelliti e musica di merda, ai jingle ostinatamente eccitati, ai luoghi comuni che già i bar ne sono pieni, alle sigle e alle notizie delle agenzie su che cosa ingrassa e cosa no che cominciano sempre per pare che.
La tragedia è che nel bar di quello che cerca di fare il furbo dieci metri più in là, succede esattamente lo stesso.
Vedi mai che se mettessi un po' di musica decente, o semplicemente se ti mettessi in gioco, la gente comincerebbe a venire a ingoiare i tuoi di panini - qualsiasi cosa tu ci metta dentro, qualsiasi cresta tu ci faccia sopra.
Vuoi vedere che non sei furbo né tu né quello di fianco.
PS: ieri a Bologna bevevo un vodka lemon grosso così in un baretto coi tavolacci e i libri da spulciare e la gente contenta. E in sottofondo, ma neanche troppo, c'era Nick Cave. E poi qualcosaltro deciso da qualcunaltro. Da qualcuno, non dagli interessi di un gruppo editoriale o da quelli che comprano gli spazi pubblicitari per i biscotti o dalle marie de filippi o dai mafiosi travestiti da realisti o semplicemente dagli stupidi e dai poco curiosi. Insomma, si può fare.

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