Quando finisco di leggere un libro ho una strana sensazione dentro, una sensazione che va tra il sentirmi abbandonato e il sentirmi appagato. È un po’ come se il libro mi lasciasse dopo avermi sedotto, deluso, fatto sorridere e avermi portato con sé senza che io chiedessi dove mi stesse portando. Innamorato, deluso, felice, arrabbiato. Stati d’animo che si frappongono tra loro mentre io rimango fermo ad osservare quella riga con la speranza che non sia l’ultima, chiedendomi che però in realtà è giusto così. Quando finisco di leggere un libro mi sento arrivato. Mi sento in un luogo dove non riesco a ricordare la strada per tornare indietro. Non so nemmeno se avrei voglia di tornarci indietro. Rimango lì per minuti, ad osservare quell’ultima pagina ripetendomi che è l’ultima, che quel viaggio è finito, che quei personaggi molto probabilmente non avranno più un seguito. Che bello però, penso. Il tutto con un velo di tristezza e malinconia che si portano via quei momenti che ho trascorso mentre lo leggevo, tutte quelle volte che mentre ero in giro per strada o a lavoro e non vedevo l’ora di tornare a rileggere quel libro, quella storia, curioso di sapere cosa sarebbe successo dopo. Quando leggo mi rendo conto che amo leggere, amo la scrittura, invidio quelle righe che avrei voluto scrivere io, inizio a immaginare il momento o quella situazione che portava l’autore a scriverle. Chissà dov’era, chissà se quelle righe le ha scritte di getto o sono frutto di giorni di scrivi, cancella e riscrivi. Chissà. Mi piace pensare queste cose. Ogni volta che leggo mi viene una voglia matta di scrivere, di lasciare andare i miei pensieri, di raccontare a qualcuno quello che sto provando. Più leggo e più mi rendo conto che amo farlo, ripetendomi che non leggo abbastanza e che forse – anzi senza forse – dovrei leggere molto di più.
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