Alla ricerca dell’ecosistema della lettura

Creato il 30 maggio 2013 da Mediadigger @mediadigger

Nei giorni del Salone di Torino ero a Firenze, per un fine settimana con famiglia nella città di Dante. Ho avuto occasione di andare in una bella biblioteca proprio dietro piazza del duomo, una biblioteca abbastanza grande, con una bella sala per i bambini e molti, molti adulti negli spazi distribuiti su due piani. Tanti “topi di biblioteca”, quanti mai credevo di trovare, in una domenica nemmeno fredda e quasi assolata. E invece.

C’erano soprattutto molti giovani. Leggevano. Studiavano. Alcuni guardavano video, o semplicemente stavano su facebook, forse tra un’apnea e l’altra di studio. La gran parte, comunque, era impegnata con la carta. Tanta carta, carta ovunque, fogli svolazzanti, pagine piegate, sfoglianti, fruscianti, fragranti.
Ho pensato che questa in teoria dovrebbe essere la generazione più incline allo shift dal digitale al cartaceo, all’utilizzo più frequente e disinvolto del digitale. E invece. Invece con la carta si trovavano benissimo, perfettamente a loro agio (del resto non vedo perché no) e in effetti non ci sarebbe ragione di cercare tra quegli scaffali e quei tavoli silenziosi (un silenzio tutto particolare, quello delle biblioteche), la luce di un tablet, l’algido barlume di un testo in pixel.
Ho pensato: per entrare nel regno più profondo della lettura cartacea, sia essa narrativa o saggistica, il digitale deve offrire davvero un valore aggiunto molto forte. Molto più forte di quello che ora è in grado di offrire.

Contemporaneamente, o quasi, a Torino si discuteva proprio di questo (qui un’ottima sintesi per quanto riguarda la narrativa e qui sulla saggitica)
Non si davano certo soluzioni, ma si ponevano spunti importanti per capire come il digitale possa non sostituire, ma essere complementare e costituire veramente una risorsa in più per chi legge. Per chi ama la lettura e ne possa fare un’esperienza ancora più coinvolgente, appagante, completa.
Ne ha scritto pochi giorni fa anche l’amico Arturo Robertazzi, e vale davvero la pena di leggere il suo post pieno di link e riferimenti molto puntuali e interessanti.
Di Arturo e del suo libro, così come dei cosiddetti enhanced book, avevo parlato a mia volta in questo post.

La questione, in poche parole, mi sembra essere la seguente: per passare dalla semplice trasposizione del testo su un altro supporto ad una piena maturazione, il “libro” digitale necessita di uno scarto, un turning point che lo renda qualcosa di diverso, allo stesso tempo autonomo e complementare; che possa cioè vivere di vita propria ma anche fungere da sussidio, essere sovrano e insieme vassallo del suo contenuto, un contenuto presente anche in forma cartacea, ma con un’identità diversa. Chiaro no?
E’ proprio questo il punto: non è ancora chiaro niente a nessuno, tranne il fatto che questo salto deve essere fatto. Perché deve essere per forza fatto?, si chiederà qualcuno. Per due semplici ragioni, a mio parere: la prima è che altrimenti il digitale rischia di rimanere un’enorme occasione sprecata, un profluvio di tecnologia avanzatissima per produrre poco più che pdf scalabili sugli schermi dei tablet; l’altra ragione, quella più importante, è che il digitale potrebbe essere una grande risorsa per una maggiore diffusione della pratica della lettura. Perché alla fine la vera grande questione che interessa tutti, cartacei o digitali, è la promozione della lettura, che poi è promozione della conoscenza, dell’indipendenza di giudizio, dello spirito critico, del “non essere come bruti”, per rimanere a Dante, e a Firenze, e tornare un attimo nella sala della biblioteca dove macinavo le mie riflessioni mentre guardavo tutti questi – lasciatemelo dire: splendidi – lettori intorno a me (perché la conoscenza ci rende anche più belli, credo).

C’è chi non la pensa proprio in questo modo, e anzi teme – con qualche ragione – che al contrario il tablet sia piuttosto un devastante cavallo di Troia, il quale divorerà quel picciol tempo ch’è del rimanente (niente da fare, Firenze mi ha danteggiato) che dedichiamo alla lettura, erodendolo con le millanta distrazioni che contemporaneamente offre.
E’ questa in breve la teoria alla base del libro di Roberto CasatiContro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere” di cui, manco a dirlo, si è parlato al Salone di Torino (qui l’audio integrale del dibattito tra l’autore e Gino Roncaglia): si tratta senz’altro del libro più discusso del momento, anche perché tocca gangli molto sensibili, dalla contrapposizione cartaceo-digitale alla sempre vivissima questione dei testi didattici digitali e della cosiddetta scuola 2.0.
Ma, su tutto, emerge anche dalle sue pagine la grande problematica di sempre: come promuovere la lettura. Forse Casati aggiungerebbe un “nonostante il digitale”, io invece direi “anche grazie al digitale”, perché se è vero, come anche lui stesso ammette, che il digitale è una realtà ormai inevitabile nella nostra vita di lettori e non, bisogna necessariamente riuscire ad “addomesticarlo” (ho usato di proposito un suo termine) per renderlo un alleato prezioso, forse determinante, per vincere una causa che, in un paese dove il 48% non ha mai letto nemmeno un libro, sembrerebbe persa da tempo.
E invece.

(La bambina della foto è mia figlia)

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