Alla ricerca della philosophia nella terra di Calabria
Creato il 27 ottobre 2011 da Natale Zappalà
Philosophia:
un termine greco-antico che significa essenzialmente «amore
per la saggezza».
Anticamente, quando si parlava di philosophia,
non si intendeva una disciplina in particolare – la moderna
«filosofia»
in altri termini –, ma il sapere umano nel suo complesso, dalla
scienza naturale all'astronomia, dalla matematica alla fisica,
dall'architettura all'ingegneria. Le sue origini si perdono nella
notte dei tempi: le fonti parlano di sapienza caldea, egizia o
addirittura atlantidea, ma le attestazioni più remote di tale
«religione
della cultura»
sembrano rimandare, per ora, al panorama indiano, laddove, inoltre,
il sanscrito vedico rimanda linguisticamente alle origini degli
idiomi indoeuropei. Presupposto fondamentale della philosophia
era, ed è, raggiungere attraverso il ragionamento una forma
mentis
costituita da alcune virtù essenziali, come il relativismo e la
libertà di pensiero; doti, queste ultime, possedute da pochi, allora
come oggi, nonostante la pretesa di «educare»
l'essere umano, il più stupido fra gli esseri viventi, rimanga
un'utopia ereditata dagli Illuministi (non a caso chiamati
philosophes
nelle fonti del XVIII secolo) che i sapienti di ogni tempo continuano
a portare avanti nonostante le batoste ricevute dai propri simili; è
ovvio che la speranza muore sempre per ultima.
Ma
torniamo alla philosophia,
e al criticismo libertario cui è portatrice. Quando il tracollo
della Roma Imperiale indusse alla frattura fra un Occidente latino
sempre più avvinto al controllo temporale e spirituale del Papato, a
sua volta vicario di una religione esclusivista e onnipervasiva come
il Cattolicesimo Paolino, e un Oriente bizantino, persiano e
islamico, fu quest'ultimo a porsi come erede e tuttore del vasto
orizzonte di saperi ormai conosciuto come hellenike
diagoge,
la «vita
greca»,
quella palestra del pensiero utile per orientarsi razionalmente nella
vita, attraverso la trasmissione dei testi antichi, ahinoi sempre
meno numerosi per l'incuria del tempo e degli uomini.
Per
oltre mille anni, dal V al XVI secolo, l'Europa continentale fu
privata delle intuizioni dei Pitagorici, delle scoperte scientifiche
di Archimede o Eratostene, delle concezioni di Democrito ed Epicuro,
ma soprattutto della stessa possibilità di coltivare, attraverso la
lettura e la comprensione di quei testi, le virtù essenziali della
philosophia:
il relativismo e la libertà di pensiero. Chi trasgrediva – vedi
Ipazia o Giordano Bruno, tanto per fare qualche nome illustre –
veniva ridotto al silenzio, scorticato con gli ostraka
(cocci acuminati) o bruciato vivo. Il tutto mentre a Costantinopoli o
nelle raffinate corti islamiche Fozio o Averroè tentavano
disperatamente di conoscere, valorizzare e divulgare l'antica
sapienza.
Un
affannoso ricongiungimento fra l'Europa e la hellenike
diagoge,
a sua volta testimone coerente delle culture ancestrali vediche,
mesopotamiche o egizie, avvenne solo con la civiltà
umanistico-rinascimentale, previa la riscoperta delle opere
letterarie antiche, giunte in Occidente insieme a intellettuali
bizantini scampati alla conquista turca del 1453. Ma, prima di
allora, un legame significativo fra est e ovest si era intrecciato in
un posto evocativo e spesso ignorato dalla Pseudo-Storia, quella
scritta dai vincitori per intenderci, la Calabria «Occidente
dell'Oriente»
e «Oriente
dell'Occidente»,
così come appariva ancora qualche secolo prima che l'egemonia
politica, economica, religiosa e culturale mitteleuropea e poi
statunitense la relegasse nel profondo sud –
in
senso spregiativo e non geografico –
del mondo. Si scoprì infatti che ignoti monaci italo-greci avevano
copiato i testi classici a Seminara, Squillace, Reggio, Sant'Eufemia,
Rossano o Bova, e che intellettuali di spicco come Barlaam o Leonzio
Pilato fornivano sistematicamente a Petrarca o Boccaccio, e di
conseguenza alla generazione di Bracciolini, Salutati e tutti gli
altri umanisti –
i fondamenti teorici e scientifici per riallacciarsi, attraverso la
grande stagione rinascimentale, a quell'eterna ricerca e custodia
della philosophia
che, attraverso i razionalisti del Seicento, l'Illuminismo, è giunta
fino ai nostri giorni, con buona pace di roghi, propaganda,
dogmatismi, fondamentalismi e intolleranze.
Nell'incessante
lotta all'oscurantismo che accompagna l'uomo in cerca del Logos
anche la martoriata terra di Calabria ha svolto un piccolo, grande
ruolo, da troppo tempo condannato all'infamia della dimenticanza. E
occhio ai termini: «martoriare»
deriva da martyrion,
«testimonianza»,
una testimonianza che i Calabresi hanno consegnato ai posteri
soffrendo.
Natale
Zappalà
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