Nei moderni treni pendolari è sempre più frequente trovare carrozze dove i sedili non sono organizzati in gruppi di quattro, vis à vis, per intenderci, ma sono disposti a coppie, tutti nello stesso verso, come sui pullman, con direzioni opposte sui due lati del corridoio. Questa sistemazione ha l’indubbio vantaggio di poter garantire un maggiore numero di posti a sedere ai viaggiatori, ma toglie un po’ di comfort e, perché no, di poesia, al viaggio in treno. Avere di fronte il retro dei due sedili antecedenti dà inoltre la sensazione di chiuso, di essere isolati, soli con i propri pensieri. Così finisce che, costretti in questo spazio limitato, che erroneamente percepiamo come intimo e privato, non ci rendiamo conto che a pochi passi di distanza, in direzione opposta, un’altra pendolare, con un libro in mano, una blogger per di più, ci sta osservando…
La faccia non è nuova, anzi, è una di quelle figure che incontro quasi quotidianamente, che mi sembra di conoscere, nonostante non ci abbia mai scambiato parola. Maschio, alla soglia degli –anta, aspetto molto curato. Veste sempre abiti molto eleganti: giacca, cravatta, in genere in colori scuri, all’orecchio porta sempre un auricolare. Per questi motivi dentro di me l’ho soprannominato “l’agente Smith”.
Con gli occhi semichiusi nascosti da un paio di lenti scure, guarda fuori dal finestrino il paesaggio che corre verso di lui: le colline, gli alberi, il cielo, le nuvole, l’infinito….
E cerca… cerca dentro di sé, cerca ciò che non può trovare, là, fuori.
Un ricordo del passato, reminiscenze di un’infanzia che ormai è svanita, oppure un pensiero fisso, dentro la sua mente, nel punto più nascosto, inaccessibile. Come un’odiosa incrostazione, lo infastidisce, lo turba, vorrebbe eliminarla con tutte le sue forze. Ma prima deve scovarla, nelle oscure caverne del suo inconscio…
E ci mette davvero tutto il suo impegno in questa estenuante ricerca di se stesso… aiutandosi con il dito indice della mano destra, alternato con il mignolo.
Cerca, cerca ovunque, esplora ogni pertugio, con minuziosa perizia. Periodicamente estrae le falangi dalle oscure cavità, distoglie lo sguardo dal paesaggio e osserva il risultato, per poi riprendere, imperterrito, questo lavoro di manuale pulizia interiore.
La sua intensa attività distoglie la mia attenzione dal libro che sto leggendo per alcuni istanti. Cerco di non fissarlo troppo, non vorrei turbarlo in questo momento d’intimità e mi costringo a concentrarmi sulle pagine, che però non riescono a scorrere.
E ancora, prima una falange, poi anche un pezzetto della seconda, per raggiungere le profondità più recondite del proprio “io” e liberarle dalle impurità e dalle incrostazioni. I suoi occhi, sempre persi, verso l’orizzonte, l’infinito, ignorano la presenza degli altri viaggiatori.
Tutta la magia di questi lunghi istanti di vita pendolare svanisce all’improvviso, con un trillo metallico: come destatosi da un sogno, estrae dalla tasca l’impeccabile smartphone nero e risponde alla chiamata. Dopo pochi istanti arriviamo alla sua fermata e, sempre parlando al telefono, scende dal treno.