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Alla riscoperta di un disco molto interessante: “Anarchia Cordis”, esordio solista di Diego Nota

Creato il 22 marzo 2014 da Giannig77

Giusto un anno fa esordiva nel mondo discografico da solista il cantautore frusinate Diego Nota, con l’interessante album dall’intrigante titolo “Anarchia Cordis”. Prima di allora l’artista trentacinquenne si era già fatto conoscere al pubblico come leader degli Ultimavera, con i quali aveva pubblicato ben tre dischi dalla seconda metà degli anni 2000 fino allo scioglimento dell’ensamble, giunto nell’estate del 2011.

E’ un autore quindi maturo quello che si muove tra le pieghe di questo lavoro, estremamente arguto e compiuto, purtroppo “persosi”, dimenticato nel novero delle tante, troppe, autoproduzioni (ma non solo) in cui è sempre più facile imbattersi in rete di questi tempi così confusi e convulsi. E proprio della realtà dei nostri tempi, con fervidi rimandi a un passato prossimo ancora recente e in grado di scottare, ci vuole parlare Diego Nota, attraverso 9 brani inediti (l’ultima traccia, l’insolita “Polvere di rospo”, seppur letteralmente stravolta a livello di arrangiamento, era invero già presente nell’ultimo lavoro edito con gli Ultimavera) diversi nelle atmosfere, eppure legate indissolubilmente da un filo conduttore e inequivocabilmente ascrivibili alla stessa penna, riconoscibile ad ogni attacco di brano.

Nell’inquadrare la realtà odierna Diego indaga su sé stesso, sul proprio vissuto, sulle proprie aspettative e su ciò che è stato. Lungi però dal voler essere uno dei tanti nuovi emuli di Vasco Brondi, laddove il ferrarese è solito usare toni cupi, plumbei, finanche apocalittici, Nota predilige toni ironici, talora sfocianti nel sarcasmo, fino a divenire manifesto invettivo in un brano dal forte impatto quale “San Pietro Calamitato”, dove a un certo punto riecheggia l’ombra di Clementi (ma forse è solo una mia suggestione!). C’è come la consapevolezza, presente in molti 35enni/40enni, di essere stati per così dire “traditi” nelle aspettative da una società che prometteva un futuro, se non florido, quanto meno solido, verso il quale poter aspirare con legittime aspirazioni e ambizioni. A colpire, nell’ambito di un disco tutto sommato “pop”, sono sia i testi, assolutamente non banali e caratterizzati da un profluvio di parole, tanto distanti da rime tipo “cuore/amore”, sia le atmosfere, che rimandano a stilemi cari a mostri sacri quali Joy Division (specie nell’efficacissimo intro del brano eponimo dell’album) o nella frizzante “Antropoteca”, in cui vengono snocciolati i temi più nelle corde dell’autore (l’attualità, la disillusione, la precarietà) e Smiths o primi R.E.M. in certe chitarre “jingle jangle” (che fanno capolino ad esempio in “Rupestre”).

Gli arrangiamenti sono il punto forte di questo disco, che rendono al meglio la bellezza e la profondità di brani come “Canzone per i nostri sei piedi” o di “Cosmonauta”, mentre “Scene dalla vita di provincia” o “Per un pugno di domeniche” sembrano le più a fuoco in quanto a immediatezza tematica.

Un lavoro che non pare azzardato inquadrare in quel filone, piuttosto scarno a dire il vero nel contesto musicale italiano, di un indie pop italiano ben congegnato che trovano nei Virginiana Miller dei validissimi interpreti. Un pop rock di qualità, insomma.

Vale la pena quindi andarsi a scoprire questo “Anarchia cordis” o a ripescarlo da qualche sperduta cartella di file mp3 compressa nei vostri hard disk, perché la bellezza, quando viene emanata in qualche forma, è giusto che emerga in superficie, anche se a distanza colpevole di un anno.


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