Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli. Se fossi stata meno impulsiva, infatti, mi sarei subito accorta che in quella storia qualcosa non quadrava.Quella notte sarebbe dovuta morire un’altra donna; la medium, a cui il distretto si appoggiava quando i casi diventavano insolubili, l’aveva visto accadere in sogno. Tuttavia, la possibilità che l’assassino stesse agendo in quel preciso istante, la concreta eventualità di catturarlo e la speranza di salvare anche la ragazza, mi spinse ad agire senza badare al mio istinto. Da detective della omicidi quale ero, non persi tempo, radunai i rinforzi e mi diressi prontamente sul posto con una squadra di sei agenti.– Voi due, di là – ordinai indicando il retro del fabbricato – Voi quattro con me –Non c’era nessuno, il vicolo che avevamo appena imboccato era deserto. L’unico suono che sentivo era il battito frenetico del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie. La porta, che conduceva all’interno, era aperta. Mi addossai al muro con la pistola stretta in una mano e sfiorai il battente con l’altra. Subito, il mio sesto senso prese a pizzicare; un crescente senso di disagio e preoccupazione mi invase, ma mi obbligai ad ignorarlo, troppo presa dalla mia missione. Scambiai un cenno rapido con gli altri agenti ed entrammo.L’oscurità ci avvolse e, dopo aver percorso un corridoio stretto e salito una rampa di scale, ci trovammo in quella che sembrava una ala dell’edificio ancora in costruzione. Ferro e calcinacci erano disseminati ovunque e intralciavano il nostro cammino costringendoci a tenere l’attenzione fissata sui nostri piedi anziché davanti a noi. L’aria era intrisa di umidità, aveva piovuto per giorni e dal soffitto era filtrata così tanta acqua da rendere poco agibile il percorso. Tendevo l’orecchio in modo da percepire ogni più piccolo rumore, ma lo scalpiccio prodotto dai nostri passi sulle pozzanghere rendeva vano ogni mio tentativo.– State attenti, c’è qualcosa di strano… – mormorai piano scorgendo un movimento improvviso in lontananza. Mi acquattai e, facendo segno ai miei compagni, accostai la schiena contro una colonna. Annuendo al mio comando, due di loro corsero rapidamente in avanti e cercarono riparo dietro ad altrettanti pilastri. Gli altri, che avrebbero dovuto fornire il fuoco di copertura, arretrarono di qualche passo restando nelle retrovie. Io rimasi sola, ferma al centro del quadrato immaginario che la formazione di attacco assunta miei uomini aveva disegnato. Mi guardai intorno, ma la visibilità era ridotta e, nonostante la luce delle torce, non riuscii a scorgere nessuno.In quel momento, l’urlo straziante di uno dei miei agenti mi fece trasalire. Rispetto alla mia posizione, il grido veniva da dietro; mi mossi nella sua direzione per provare a soccorrerlo ma mi bloccai subito, non riuscendo bene a capire cosa gli stesse succedendo. Tenevo la pistola puntata dritta davanti a me, ma pur sapendo che dovevo intervenire non riuscii a farlo. Se avessi aperto il fuoco in quelle condizioni, senza sapere cosa avessi attorno o chi ci stesse attaccando, avrei potuto colpirlo. Lui o un altro uno dei miei uomini.Mentre lottavo contro il tempo e decidevo come agire, uno spostamento d’aria, improvviso e gelido, mi obbligò a voltarmi per capire che cosa l’avesse causato. Nello stesso istante, quando un secondo agente urlò, compresi che eravamo stati attirati in una trappola. Qualcuno, forse lo stesso assassino, ci stava girando intorno facendoci fuori uno dopo l’altro ed ero stata io a condurre tutti al macello. Nessuno ci stava sparando, nessuno ci stava colpendo con armi convenzionali, eppure tutta la mia squadra stava cadendo sotto ai miei occhi. Venivamo colti di sorpresa, alle spalle, in modo silenzioso ed improvviso. Chiunque ci avesse teso quell'agguato, si muoveva veloce, in modo da non farsi vedere e quando si avvertiva la sua presenza era ormai troppo tardi.Mi girai da una parte all’altra, nervosa e spaventata, nel tentativo di riuscire a scorgerlo. Mi voltai ancora e ancora, con il cuore che mi balzava nel petto, il respiro affannoso e le lacrime che mi bagnavano il volto, ma dell’assassino non c’era traccia. Non ero capace di vederlo, non lo sentivo, intorno a me i miei compagni erano ormai tutti morti e la colpa era solo mia.A quel punto, non potendo più fare nulla, cercai almeno di mettermi al riparo. Non appena mi mossi, però, crollai a terra; ero in preda al panico e le mie gambe avevano ceduto. Disperata, con la torcia che era rotolava via e la pistola che mi scivolava dalle dita, mi puntellai sulle mani per rialzarmi in fretta e darmela a gambe.Fu proprio riprendendo la pila elettrica che la mi attenzione venne catturata dall’alone rosso sotto di me. Era sangue ed era dappertutto: sui miei vestiti, sul pavimento, sulle mie mani. I miei agenti non erano stati solo uccisi, erano stati fatti letteralmente a pezzi. Sopraffatta dal terrore, provai a fuggire ma, prima che potessi riuscirci, mi sentii afferrare per i capelli e trascinare all’indietro. Gridai e, mentre cercavo di divincolarmi per raggiungere la pistola che avevo perso nella caduta, un dolore lancinante mi trafisse il collo.Inerme e senza più la possibilità di reagire, abbassai lo sguardo e vidi il sangue dei miei agenti mischiarsi al mio. A quel punto, osservando il propagarsi delle macchie cremisi attraverso il velo argentato che la falce di luna irradiava all’interno del locale, non ebbi più dubbi: la donna vista dalla medium, quella destinata a morire quella notte, ero io.
Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli. Se fossi stata meno impulsiva, infatti, mi sarei subito accorta che in quella storia qualcosa non quadrava.Quella notte sarebbe dovuta morire un’altra donna; la medium, a cui il distretto si appoggiava quando i casi diventavano insolubili, l’aveva visto accadere in sogno. Tuttavia, la possibilità che l’assassino stesse agendo in quel preciso istante, la concreta eventualità di catturarlo e la speranza di salvare anche la ragazza, mi spinse ad agire senza badare al mio istinto. Da detective della omicidi quale ero, non persi tempo, radunai i rinforzi e mi diressi prontamente sul posto con una squadra di sei agenti.– Voi due, di là – ordinai indicando il retro del fabbricato – Voi quattro con me –Non c’era nessuno, il vicolo che avevamo appena imboccato era deserto. L’unico suono che sentivo era il battito frenetico del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie. La porta, che conduceva all’interno, era aperta. Mi addossai al muro con la pistola stretta in una mano e sfiorai il battente con l’altra. Subito, il mio sesto senso prese a pizzicare; un crescente senso di disagio e preoccupazione mi invase, ma mi obbligai ad ignorarlo, troppo presa dalla mia missione. Scambiai un cenno rapido con gli altri agenti ed entrammo.L’oscurità ci avvolse e, dopo aver percorso un corridoio stretto e salito una rampa di scale, ci trovammo in quella che sembrava una ala dell’edificio ancora in costruzione. Ferro e calcinacci erano disseminati ovunque e intralciavano il nostro cammino costringendoci a tenere l’attenzione fissata sui nostri piedi anziché davanti a noi. L’aria era intrisa di umidità, aveva piovuto per giorni e dal soffitto era filtrata così tanta acqua da rendere poco agibile il percorso. Tendevo l’orecchio in modo da percepire ogni più piccolo rumore, ma lo scalpiccio prodotto dai nostri passi sulle pozzanghere rendeva vano ogni mio tentativo.– State attenti, c’è qualcosa di strano… – mormorai piano scorgendo un movimento improvviso in lontananza. Mi acquattai e, facendo segno ai miei compagni, accostai la schiena contro una colonna. Annuendo al mio comando, due di loro corsero rapidamente in avanti e cercarono riparo dietro ad altrettanti pilastri. Gli altri, che avrebbero dovuto fornire il fuoco di copertura, arretrarono di qualche passo restando nelle retrovie. Io rimasi sola, ferma al centro del quadrato immaginario che la formazione di attacco assunta miei uomini aveva disegnato. Mi guardai intorno, ma la visibilità era ridotta e, nonostante la luce delle torce, non riuscii a scorgere nessuno.In quel momento, l’urlo straziante di uno dei miei agenti mi fece trasalire. Rispetto alla mia posizione, il grido veniva da dietro; mi mossi nella sua direzione per provare a soccorrerlo ma mi bloccai subito, non riuscendo bene a capire cosa gli stesse succedendo. Tenevo la pistola puntata dritta davanti a me, ma pur sapendo che dovevo intervenire non riuscii a farlo. Se avessi aperto il fuoco in quelle condizioni, senza sapere cosa avessi attorno o chi ci stesse attaccando, avrei potuto colpirlo. Lui o un altro uno dei miei uomini.Mentre lottavo contro il tempo e decidevo come agire, uno spostamento d’aria, improvviso e gelido, mi obbligò a voltarmi per capire che cosa l’avesse causato. Nello stesso istante, quando un secondo agente urlò, compresi che eravamo stati attirati in una trappola. Qualcuno, forse lo stesso assassino, ci stava girando intorno facendoci fuori uno dopo l’altro ed ero stata io a condurre tutti al macello. Nessuno ci stava sparando, nessuno ci stava colpendo con armi convenzionali, eppure tutta la mia squadra stava cadendo sotto ai miei occhi. Venivamo colti di sorpresa, alle spalle, in modo silenzioso ed improvviso. Chiunque ci avesse teso quell'agguato, si muoveva veloce, in modo da non farsi vedere e quando si avvertiva la sua presenza era ormai troppo tardi.Mi girai da una parte all’altra, nervosa e spaventata, nel tentativo di riuscire a scorgerlo. Mi voltai ancora e ancora, con il cuore che mi balzava nel petto, il respiro affannoso e le lacrime che mi bagnavano il volto, ma dell’assassino non c’era traccia. Non ero capace di vederlo, non lo sentivo, intorno a me i miei compagni erano ormai tutti morti e la colpa era solo mia.A quel punto, non potendo più fare nulla, cercai almeno di mettermi al riparo. Non appena mi mossi, però, crollai a terra; ero in preda al panico e le mie gambe avevano ceduto. Disperata, con la torcia che era rotolava via e la pistola che mi scivolava dalle dita, mi puntellai sulle mani per rialzarmi in fretta e darmela a gambe.Fu proprio riprendendo la pila elettrica che la mi attenzione venne catturata dall’alone rosso sotto di me. Era sangue ed era dappertutto: sui miei vestiti, sul pavimento, sulle mie mani. I miei agenti non erano stati solo uccisi, erano stati fatti letteralmente a pezzi. Sopraffatta dal terrore, provai a fuggire ma, prima che potessi riuscirci, mi sentii afferrare per i capelli e trascinare all’indietro. Gridai e, mentre cercavo di divincolarmi per raggiungere la pistola che avevo perso nella caduta, un dolore lancinante mi trafisse il collo.Inerme e senza più la possibilità di reagire, abbassai lo sguardo e vidi il sangue dei miei agenti mischiarsi al mio. A quel punto, osservando il propagarsi delle macchie cremisi attraverso il velo argentato che la falce di luna irradiava all’interno del locale, non ebbi più dubbi: la donna vista dalla medium, quella destinata a morire quella notte, ero io.