Buongiorno da Federico e come sempre ben ritrovati a tutti gli amici di GiardinoWeb.Primo appuntamento con l’almanacco del mese di luglio che andiamo ad iniziare con le previsioni meteo per la prossima settimana.
SITUAZIONE ED EVOLUZIONE
Alta pressione africana in rinforzo in questo fine settimana, con tempo caldo e soleggiato su gran parte d’Italia. Solo i rilievi alpini e piu sporadicamente l’Appennino, risentiranno di qualche temporale “di calore” nel pomeriggio.Alle temperature elevate si sommerà anche l’alto tasso di umidità, che renderà il caldo afoso specie nelle grandi città.Le raccomandazioni sono sempre le stesse, ma è bene ricordarle: non esporsi al sole nelle ore piu calde della giornata, bere molta acqua, gli anziani evitino di uscire di casa nelle ore del pomeriggio.Quanto durerà? Tra lunedì e martedì un impulso instabile sfiorerà il nord, portando qualche temporale in piu anche nelle zone interne del centro, ma non si potrà parlare di rinfrescata. Qualche grado in meno, comunque, sarà garantito, ma si tratterà di poca cosa.Da mercoledì e fino al giorno 10 nuova fiammata dell’alta pressione africana che riporterà tutta l’Italia sotto la canicola. Insomma, per il momento non si vedono rinfrescate all’orizzonte. Ne riparleremo.SABATO e DOMENICA: bello, soleggiato e molto caldo su tutta l’Italia. Qualche temporale potrebbe svilupparsi nel pomeriggio sulle Alpi e piu sporadicamente sulla dorsale appenninica, senza sconfinare sulle zone di pianura. Afa nei grandi centri urbani. Ventilazione inapprezzabile.
Paolo Bonino
I lavori secondo la luna
Vediamo insieme i lavori da fare durante questa prima settimana di luglio:
Si raccolgono leverdure a bulbo(cipolla, scalogno,aglio) da conservarein cantina dopo averle fatte asciugare all’ombra preparando le trecce.Per mantenere sotto controllo lo sviluppo delle infestanti nell’orto,è consigliabile pacciamare alla base delle piante con tessuto non tessuto o paglia.Seminate fagiolini nani o rampicanti, anche se questi ultimi possono avere difficoltà a maturare al Nord. Trapiantate lo zucchino per un secondo raccolto.Rincalzate le patate; se a primavera sono state seminate presto, potete già incominciare a raccogliere le varietà precoci.Ponendo in una bottiglia piena d’acqua rami non fioriti di oleandro, fatene talee, che trasferirete nella terra una volta radicate.
Proverbio di luglio
Se piove tra luglio e agosto, piove miele, olio e mosto.
Tradizioni
Felce: ricercatore di tesori
Le felci sono dedicate a Giove, simbolo dell’energia divina. Si racconta che nella notte di S. Giovanni, il seme della felce prenda a brillare come l’oro: chi ha la fortuna di imbattersi in essa riuscirà ad avvistare i tesori celati nelle viscere della terra. Sia il fiore dorato sia il seme, in virtù della magia omeopatica secondo la quale vi sarebbe affinità con l’oro, farebbero scoprire i tesori nascosti nella terra. In Russia, una volta i contadini s’incamminavano nella foresta poco prima della mezzanotte, recando una croce, una salvietta bianca, un Vangelo, un orologio e un bicchiere d’acqua che deponevano accanto ad una felce. Allo scoccare della mezzanotte, dalla felce poteva miracolosamente sbocciare un fiore che rifulgeva come l’oro. Chi avesse avuto la sorte di scorgere quella visione improvvisa avrebbe assistito ad altri spettacoli sbalorditivi. Gli sarebbero apparsi tre soli e una luce che avrebbe rischiarato a giorno la foresta. Avrebbe udito dei rumori, un coro di risate e una voce femminile che lo chiamava. Non doveva intimorirsi: se avesse conservato il sangue freddo, avrebbe percepito il suo futuro e quello del mondo. La tradizione vuole che le felci vadano recise la notte di S. Giovanni, a mezzanotte, e disposte nella propria abitazione a contatto con delle monete: in questo modo, si dice, che ci sarà sempre denaro a profusione. In Tirolo e in Boemia si assicurava che combinando i semi di felce nel denaro, questa, per quanto se ne dilapidasse, non sarebbe mai diminuito. Raccogliere all’alba del 24 Giugno un seme di felce e portarlo sempre con sé, si sostiene che sia garanzia di fortuna. Un tempo, in Bretagna, nella notte magica, i cercatori di tesori racimolavano i semi della felce e li custodivano fino alla domenica delle Palme dell’anno successivo; poi li disseminavano sul terreno in cui supponevano vi fosse un tesoro. In Russia, si dava per certo che fosse sufficiente lanciarlo in aria perché ricadesse nel punto preciso dove si rinveniva un tesoro. Le ceneri delle felci, bruciate nella notte del solstizio, dissipano le sciagure. In Germania, nella notte di Valpurga, le streghe si servono di questa pianta per rendersi invisibili.
Il libro della settimana
“Coltivando la terra si coltiva anche la felicità”
Due passi in giardino, cesoie alla cintola.
Qui un rametto da potare, là una zucca da legare. Sugo di more mature, velluto di pesche e albicocche. Uno spazio di verde si apre nell’anima, un bisogno prepotente che ci spinge a cercare altri spazi, luoghi fisici in cui ripetere quei gesti così efficaci: dissodare, piantare, annaffiare, potare.
Un mondo intero di cui prendersi gioiosamente cura: che sia un incolto in cui lanciare manciate di semi o un giardino anche di soli vasi, un terreno abbandonato cui permettere di diventare bosco o una siepe dove ospitare uccelli, un orto fiorito da cui farsi nutrire.
Filosofi e pensatori contemporanei hanno concepito e promosso la cura del giardino per restituire al mondo la sua anima vegetale, senza cui nessun animale potrebbe sopravvivere.
“Tra le piante si prova la sensazione di avere trovato con estrema facilità il nostro posto al mondo. Di trovarci esattamente dove dovremmo essere. Che questo avvenga per la più primordiale delle complementarità, quella tra animale e pianta? Tra creature opposte, che si nutrono l’una del respiro dell’altra? Non saprei. Ma l’importante è questo: funziona.”
Pia Pera, scrittrice e giardiniera appassionata, racconta come riconnettersi alla rete della vita, ristabilire il corpo a corpo con la natura, attraverso semplici gesti d’affetto verso la terra e le sue creature.
- Autore: Pia Pera
- Editore: Salani Editore
- Data pubblicazione: Aprile 2010
- Tipo: Libro
- Pagine: 126
- Formato: 15×17
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- Categoria: Giardinaggio
Itinerari Marchigiani
Montefiore dell’Aso
nel segno della pittura
Il nome
La Storia
• IX-IV sec. a.C., corredi sepolcrali appartenenti alla civiltà picena rivelano la presenza di un luogo abitato sin dall’età del ferro.
• I-II sec. d.C., a testimoniare il periodo romano rimangono sporadici resti di villae e i segni di una necropoli (grotte e colombari).
• III-V sec., nei primi secoli del cristianesimo Montefiore diviene sede di una pieve, cioè di una chiesa battesimale con giurisdizione su un vasto territorio, dedicata a S. Lucia.
• 1178, un documento parla di due castelli, Montefiore e Aspromonte, che danno vita, uniti in un unico centro abitato, al libero Comune di Montefiore. Il toponimo Aspromonte, che ancora dà il nome a una contrada, resta legato, secondo la leggenda, a un’aspra battaglia qui combattuta tra l’esercito di Carlo Magno e le orde saracene guidate da Almonte.
• 1378, il Comune entra nell’orbita di Fermo, che lo governa con un podestà di sua nomina.
• XV sec., con la fine dei liberi Comuni, anche Montefiore entra nel dominio dello Stato Pontificio che, per una migliore difesa del castello, provvede ad ampliare verso la fine del secolo la cinta muraria.
• XVII-XVIII sec., la vita politica del Comune è gestita per conto dello Stato della Chiesa da nobili e proprietari terrieri che non favoriscono il progresso economico e civile di Montefiore.
Il gotico terso e prezioso di Carlo Crivelli al Polo Museale di San Francesco.
Il centro storico è ben conservato: sono rimasti notevoli tratti di cinta muraria muniti di porte e sei torrioni risalenti ai secoli XV e XVI.
Dal Belvedere De Carolis, suggestivo terrazzo panoramico, attraverso la Porta Aspromonte si entra nel centro storico e si giunge in Piazza della Repubblica, il cuore del paese dominato dalla Collegiata di S. Lucia. La chiesa è completamente rifatta in stile neoclassico, ma le sue origini sono antichissime, tra il III e il V sec., e vanno ricercate nella pieve che è stata poi ricostruita all’interno delle mura castellane nella seconda metà del XV sec.
Scendendo da Piazza della Repubblica verso piazzale S. Francesco, s’incontra la chiesa dedicata al santo e l’annesso convento. Costruita tra il 1247 e il 1303, con i proventi delle elemosine raccolte dai frati, la chiesa di S. Francesco conserva l’originario stile romanico-gotico nella struttura esterna e nel portale del 1303 che ora è possibile ammirare in sacrestia. Radicali ristrutturazioni, avvenute fra la metà del XVII e la metà del XVIII sec. hanno trasformato l’interno in senso barocco.
All’interno del convento è stato inaugurato nell’Ottobre del 2006 il Nuovo Polo Museale di San Francesco.
Nel complesso conventuale gli spazi francescani sono stati riallestiti per ospitare arte, cinema, etnografia. Il nuovo percorso museale si snoda negli ambienti conventuali accogliendo la Sala Carlo Crivelli, il Centro di Documentazione Scenografica Giancarlo Basili, il Museo Adolfo de Carolis, il Museo della Civiltà Contadina, la Collezione Domenico Cantatore.
Il tema del nuovo percorso d’allestimento non è la pura esposizione ma l’immaginazione quale realtà da vivere. Vere e proprie messinscene spaziali, nelle quali i luoghi interni giocano lo stesso ruolo dei paesaggi esterni.
Nel borgo si trovano anche numerosi edifici sei-settecenteschi: Palazzo Egidi, Palazzo De Vecchis, Palazzo Montani, Palazzo Vitali, Palazzo Farsinelli, Palazzo De Scrilli, Palazzo Rossi, Palazzo Ciarrocchi, Palazzo Simonetti. Poco fuori del centro, la chiesa di S. Filippo Neri è stata edificata sulla base di una chiesetta costruita fra il 1573 e il 1605 intitolata a S. Maria del Monte, e ristrutturata alla fine del XVII sec.
Vicino a S. Filippo sorge la chiesa del Corpus Domini con annesso monastero
Da ricordare, inoltre, tre chiese extraurbane comprese nel territorio di Montefiore: lungo la strada provinciale che conduce a Carassai, la deliziosa chiesetta campestre di S. Maria delle Grazie, che fa pensare a una breve preghiera nel verde dei prati, e S. Maria della Fede; e lungo la via che conduce a Campofilone, quella di S. Giovanni Battista.
Il prodotto del borgo
Il piatto del borgo
Con i vincisgrassi, ovvero la ricca lasagna picena, si raggiunge in Valdaso la perfezione.
Con la sfoglia povera, senza uova, si fanno i tajuli e i taccu, rispettivamente in brodo e asciutti con ragù di verdure, maiale, sarde o baccalà.