A sostegno delle loro odifreddiane tesi, hanno citato pochi giorni fa uno studio pubblicato su “Science” secondo il quale il ragionamento analitico riduce temporaneamente la credenza religiosa. Per loro è stato giorno di festa, poi però se si legge lo studio originale gli autori spiegano: «si conferma ciò che molte persone, sia religiose che non religiose, hanno affermato sulla credenza religiosa per lungo tempo, cioè che la fede rispecchia più un’intuizione che un ragionamento analitico», e ancora: «i risultati non cambieranno nulla sul fatto che Dio esiste o se il credo religioso è o meno razionale». Infatti, se si prende sul serio l’ipotesi (questa è) dei ricercatori, «se si ritiene che il ragionamento analitico è la modalità per capire il mondo con precisione, si potrebbe vedere questa ricerca come la prova che essere religiosi non ha molto senso, se si è invece una persona religiosa, si può vedere questa ricerca come la prova per dimostrare che Dio ha fornito un sistema di credenza che si rivela attraverso il senso comune».
Interessante leggere l’articolo dedicato dalla rivista in competizione con “Science”, ovvero “Nature”: «è chiaro che gli autori non si pronunciano sul valore della fede religiosa, né suggeriscono che tali credenze sono intrinsecamente irrazionali (per non parlare che siano false)», scrive Philip Ball, articolista della rivista e fisico alla Bristol University. Egli sospetta del tentativo delle sette razionaliste di strumentalizzare questo studio, infatti afferma: «queste oneste cautele non impediranno ad alcuni atei di affermare che lo studio dimostra che la religione è il risultato di un malvagio ragionamento, se non addirittura della stupidità, per la quale l’unica cura è una buona dose di sobrietà analitica (la mia esperienza è che sono le visioni estreme di qualsiasi tipo, sia esse religiose o non religiose, ad essere il vero nemico del pensiero analitico)». Sottolinea la difficoltà a sottoporre il credo religioso ad un esame scientifico, spiega che il campione utilizzato non è rappresentativo (cosa di cui gli autori sono coscienti, ma che l’UAAR censura), e invita a guardare la pluralità della tradizione del pensiero religioso. Su “Livescience” invece si riportano le parole di uno dei due autori dello studio: «Sia il ragionamento analitico che intuitivo sono strumenti utili. Ognuno può pensare in modo intuitivo e analitico, e nessuno dice che il sistema intuitivo è sbagliato e quello analitico è giusto». Insomma, tutto è già noto: la fede religiosa non può basarsi sull’analisi “scientifica” e “analitica” del mondo. Non a caso Gesù invitava i sapienti a “tornare bambini”, cioè alla loro semplicità e intuizione, perché non si può pensare di conoscere Dio applicando lo stesso ragionamento che si utilizza per risolvere i problemi di matematica. Sono due applicazioni differenti della ragione ed «entrambi i tipi di pensiero hanno i loro punti di forza e di debolezza», specificano gli autori. Peccato che i razionalisti, coperti dall’ideologia e dall’odio verso i credenti, non riescano a capire tutto questo.
Se poi dobbiamo dirla tutta, comunque, è utile segnalare lo studio realizzato da “The Gallup Organization” assieme al “Baylor’s Institute for Studies of Religion”, dove è emerso che la religione cristiana diminuisce notevolmente la credulità, misurata in termini di convinzioni in cose come sogni, Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti e l’astrologia. Chi si definisce “irreligioso” ha invece molta più probabilità di essere “credulone”. Quest’estate su “American Sociological Association”, è stato segnalato che le persone tendono a diventare più religiose (praticanti) più migliorano la loro istruzione scolastica.
Nello stesso articolo menzognero dell’UAAR, che contribuisce a cancellare ogni attendibilità alla loro associazione (o “setta”, come dicono gli ex adepti), viene citato anche un articolo dell’impiegato di banca Raffaele Carcano, che è anche il segretario dell’associazione. Egli si dileggia nel voler confutare l’onestà delle persone credenti in Dio. Nel delirante post, in cui si passa da Mussolini a Elisa Claps, da Berlusconi a Daniel Dennett, da Pio V al premier Monti, il responsabile dell’assocazione -per sostenere la sua tesi- cita alcuni suoi libri sull’argomento (avranno superato le 10 copie vendute?) ma anche uno studio scientifico, il quale -secondo lui-, avrebbe dimostrato che «i non credenti sono più onesti dei credenti che credono in un Dio che perdona». Evidentemente Carcano non sa l’inglese o non ha mai letto nessuno studio, perché se ci si reca al testo della ricerca, si capisce che gli studiosi hanno analizzato un misero campione di 46 volontari (nel mondo ci sono oltre 2 miliardi di cristiani, senza contare le altre religioni e adesioni deiste), valutando le personali concezioni di Dio. Risultato: chi ha un’immagine di Dio più amorevole è più incline a barare in quanto confida nel perdono. Stop, nessuno dei ricercatori ha mai parlato di non credenti e della loro superiorità morale.
Se poi dobbiamo dirla tutta, comunque, una vera indagine che si occupa di abbinare i livelli di delinquenza alla sfera religiosa o non religiosa della persona, è invece quella pubblicata pochi mesi fa dal criminologo Byron R. Johnson, intitolata: “More God, less crime”. Dei 273 studi sul tema pubblicati dal 1944 al 2010, il 90% di essi dimostra che avere “più religiosità” porta a meno criminalità e solo il 2% ha trovato che la religione produce più criminalità (il restante 8% non ha trovato alcuna relazione). Ancora: l’estate scorsa due ricercatori svedesi hanno dimostrato che le persone tendono a comportarsi in modo migliore se sperimentano, o sono stati educate a pensieri religiosi.
Tra gli obiettivi dell’UAAR c’è la cura che «la dialettica sia autentica, aperta e libera, impostando il dialogo sul ragionamento senza pregiudizi». Domanda: perché allora vengono promosse continue falsità e strumentalizzazioni? Perché gli studi “scomodi” non hanno trovato spazio sul loro sito?