Il comico genovese è semplicemente vittima come tutti noi dell’irrealtà televisiva che è debordata poi in tutti i media e in molti aspetti della vita italiana: falso pubblico dal quale non si può essere contestati o che (variante santoriana) è lì per sceneggiare la contestazione, ma senza mai esagerare, false interviste mai davvero imbarazzanti, falso reality, persino falsa cucina. Tutto viene millimetricamente preparato e addomesticato, contrattato e levigato, aggirato e dettato per creare una narrazione che sembra reale e invece è assolutamente artificiale, un vaporoso nulla nel quale si perde la bussola.
Se Crozza avesse calcato le tavole del teatro comico e non quello esangue e comunque corrivo del cabaret avrebbe saputo cosa rispondere e come zittire il berlusconoide in platea. E se tutti noi avessimo una diversa idea del dialogo, avessimo sviluppato degli anticorpi contro l’aria fritta e la ritualità vuota, sapremmo cosa domandare al sobrio Monti che fa il pesce in barile o al “giusto” Bersani o al narrante Vendola o al furbo, ma elementare Casini o al manager dei nostri stivali Marchionne. tanto per fare qualche nome fra mille. Oscuramente sappiamo che ci passa davanti una realtà fasulla, artificiale, di regia. Tanto che per una qualche grottesca e nefanda reazione inconscia, molti trovano le orrende sceneggiate del Cavaliere, la sua disarticolazione morale, i suoi inviti all’evasione e alla tangente, le sue spudorate bugie qualcosa di più reale rispetto alla levigatezza dello spettacolo registrato.
Quindi non chiediamoci come mai Crozza sia andato in bambola, perché in realtà in bambola lo siamo anche noi: ci siamo lasciati intimidire da una claque di burocrati e banchieri e da oceani di parole così leggere che farebbero volare una mongolfiera. Ancora adesso non sappiamo aggirarci dentro la realtà di ciò che è successo e chiediamo lumi allo sceneggiato che ci scorre davanti. Non interroghiamoci sugli imbarazzi di Crozza, Crozza siamo noi.